Egregio Direttore,
le scrivo appena terminata la votazione di fiducia in Senato.
Andrea Linguanotto
Gaiarine (TV)
Caro lettore, temo che la sua idea sia irrealizzabile, ma penso anche che non sia così stravagante. Lei ha ragione: i numeri in politica sono sempre variamente interpretabili. Ma il risultato del voto di martedì notte al Senato è, almeno da un punto di vista aritmetico, indiscutibile: il governo Conte non ha la maggioranza assoluta di Palazzo Madama. I 156 voti rappresentano la maggioranza relativa della Camera alta e non obbligano Conte a rassegnare le dimissioni da premier, ma decretano, senza ombra di dubbio, la debolezza parlamentare dell'attuale alleanza di governo. Ed è da qui che bisogna partire. Ormai le polemiche sulla crisi sono alle spalle. Negli ultimi mesi a chi contestava la scarsa rappresentanza popolare dell'attuale governo, è stato fatto notare che la nostra è, innanzitutto, una democrazia parlamentare. Giusto. Ma se così è, allora non si può prescindere dai numeri del Parlamento emersi martedì notte. E occorre chiedersi: è in grado una compagnie che, con ogni probabilità, non è maggioranza nel Paese e che oggi non ha più neppure il 50% più uno dei voti parlamentari, guidare la nazione in una fase così complessa e che richiederà impegnative assunzione di responsabilità, prima fra tutte l'impiego degli oltre 200 miliardi del Recovery fund? Ciascuno può dare la propria risposta. Sapendo che da essa dipende non solo il nostro futuro ma, anche e soprattutto, quello dei nostri figli e nipoti.