Migranti e virus, botta e risposta con un sacerdote sui concetti di informazione e integrazione

Martedì 21 Luglio 2020
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Egregio direttore,
acquisto il Gazzettino tutti i giorni. Il suo giornale è uno dei principali strumenti che formano l'opinione pubblica. Sono schifato da come continuamente il suo giornale addita gli stranieri come principale problema del nostro territorio, come principale ostacolo al nostro benessere. I titoli aizzano continuamente contro di loro. L'apertura di ieri era: Migranti infetti, siamo al limite. Io credo che sia doveroso guardare al futuro. Nei prossimi anni raccoglieremo, se oggi ci impegniamo a lavorare all'integrazione delle persone che, giunte nella nostra terra, chiedono di poter dare il loro apporto nella nostra realtà quotidiana. Sicuramente ci sono anche stranieri che non osservano le nostre leggi e che si collegano con la mala vita. Ma in che percentuale sono, se calcoliamo i bengalesi che lavorano alla Fincantieri a Marghera, le badanti che curano i nostri vecchi, i cinesi ai quali abbiamo affidato i nostri bar, i muratori dell'est che lavorano nei cantieri edili, i bambini stranieri che frequentano le nostre scuole? Il giornale deve creare un clima favorevole alla loro integrazione. Ne va del nostro futuro.
Don Gianni Fazzini
Prete di Altino (Venezia)



Caro lettore,
un giornale deve innanzitutto informare. E deve dare anche quelle informazioni che disturbano il nostro modo di vedere le cose e di interpretare il mondo. L'accoglienza e l'integrazione non si costruiscono chiudendo gli occhi sulla realtà perché questo ci fa sentire più in pace con noi stessi. Il titolo a cui lei fa riferimento è la sintesi testuale di un'intervista al prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto, che per la sua storia e le sue opinioni (espresse anche in quella intervista), riesce assai difficile additare come uomo delle istituzioni poco sensibile al tema dei migranti e dell'accoglienza. Ma anche il prefetto, esattamente come noi, guarda ciò che accade e vede in questo periodo aumentare i casi di migranti arrivati o rientrati dai loro Paesi positivi al Covid. Uomini e donne che, per usare le parole del prefetto, «non sanno cosa sia una pandemia, non comprendono le regole, si rifiutano di fare i tamponi, vanno comunque a lavorare». Devono quindi essere sottoposti a quarantena sotto stretta vigilanza per evitare che diffondano il contagio.
Questi sono fatti, non opinioni. E dai fatti si deve partire per farsi delle opinioni. Non viceversa. Parlarne non significa criminalizzare qualcuno. Ma affrontare un problema serio che tocca da vicino le nostre comunità e chi ci vive. Dovremmo ignorarlo? Sappiamo bene il contributo economico e sociale che i cittadini di origine straniera danno e daranno alle nostre comunità. Ma tutto ciò non può essere una buona ragione per minimizzare o censurare fenomeni che hanno come protagonisti i migranti. Una decina di giorni abbiamo dedicato molto spazio a un imprenditore vicentino che, rientrato dall'estero, con i suoi comportamenti disinvolti e irresponsabili ha rischiato di contagiare molte altre persone. Fare titoli su quell'imprenditore positivo al Covid era giusto e doveroso, mentre farli sugli immigrati infettati è un intollerabile misfatto? E perché? L'integrazione si fonda innanzitutto sulla consapevolezza, non sulla negazione. E guardare al futuro significa, come prima cosa, fare i conti con il presente, anche duramente quando serve. Mi consenta infine una piccola considerazione: lei scrive che è schifato da alcune nostre scelte. Un termine eccessivo. Che comunque accettiamo. Ma che segnala una scarsa predisposizione ad accettare punti di vista diversi dai propri. Vizio comune dei nostri tempi. Spiace che anche un sacerdote attento come lei ne sia rimasto vittima.
Ultimo aggiornamento: 15:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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