Gli sportivi non vivono in una bolla, quando c'è una guerra è difficile pretendere il fair play

Giovedì 8 Giugno 2023

Egregio direttore,
agli Internazionali di tennis a Roma, una tennista ucraina al termine dell'incontro con l'avversaria russa non le ha dato la mano (come da sempre avviene) e l'altro ieri al torneo "slam" di Parigi una tennista ucraina (fischiata dal pubblico presente) ha fatto altrettanto nei riguardi di una atleta bielorussa. Sono contro tutte le guerre e auspico che finisca al più presto il conflitto nell'est europeo, trovo, però, che in uno sport individuale come il tennis, un gesto di "fair play" tra atleti sarebbe un bel segnale di sportività. Gli sport di squadra che rappresentino nazioni coinvolte in guerre, possono essere sanzionate nelle forme ritenute opportune ma, le gare individuali di atleti, svoltesi in modo corretto, non dovrebbero originare alcuna discriminazione a livello personale.

Franco Polesel


Caro lettore,
dopo l'invasione dell'Ucraina gli sportivi russi e bielorussi sono stati banditi da molte manifestazioni sportive. Nel tennis possono però continuare a gareggiare ma a titolo individuale, senza quindi bandiere o sigle che rappresentino il loro Paese. Per questa ragione in tv non è indicata la loro nazionalità. Quando però c'è una guerra così crudele e fratricida come quella che si sta combattendo in Ucraina, è francamente difficile parlare di fair play. Non ci può pretendere che lo sport viva in una bolla e sia estraneo a quanto sta accadendo. Quando le città del tuo paese vengono bombardate e distrutte; quando i tuoi connazionali, non importa se civili o militari, vengono massacrati; quando vogliono importi un regime e negarti la libertà di scegliere chi ti deve governare, le prospettive e gli stati d'animo cambiano radicalmente. E può persino diventare difficile stringere la mano dopo una partita a un altro sportivo che, ai tuoi occhi rappresenta, in quel momento, qualcosa di diverso da quello che era un anno o due anni prima: non è più solo un avversario che hai sconfitto o da cui sei stato battuto, ma è il simbolo della violenza che il tuo Paese sta subendo. Non voglio con questo giustificare le tenniste ucraine, ma solo osservare che quando si giudica la scelta di alcune di loro di non stringere la mano alle avversarie russe o bielorusse, bisognerebbe conoscere il vissuto di queste atlete. Sapere che prezzo, sul piano emotivo, stanno pagando alla guerra. O sapere se per esempio contano amici o familiari tra le vittime del conflitto o se il villaggio o la città dove sono nate o cresciute sia stato colpito dalle bombe. La guerra, comunque e da qualunque parte la si guardi, è un evento tremendo e sconvolgente. Che trasforma nel profondo la vita delle persone. E gli atleti sono prima di tutto persone. Non dimentichiamolo.
      

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