Le dimissioni sono spesso un atto necessario ma non cediamo alla demagogia giustizialista

Sabato 2 Marzo 2019
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Caro direttore,
notizia dei giorni scorsi: decine di morti e feriti in seguito all'esplosione del serbatoio di un treno della metropolitana alla stazione Ramses de Il Cairo. Tragica la vicenda sul piano umano, ma luminosa la notizia che accompagna quella della tragedia: il ministro dei trasporti si è immediatamente dimesso! Ebbene: sappiamo tutti che il ministro non può avere una diretta responsabilità su un evento così drammatico. Tuttavia il ministro è pur sempre il vertice di una piramide, sotto il quale si ritrovano le responsabilità più dirette. Quella del ministro è quindi una lezione che risponde a quella logica che spesso vediamo applicata in ambito sportivo, ma che assai più raramente trova applicazione in quello politico: la responsabilità oggettiva, cioè quella che ricade sul soggetto più riassuntivo, estremo appunto, della scala gerarchica. A volte si intende risolvere un problema colpendo il responsabile più ravvicinato di una manchevolezza. Invece c'è (o dovrebbe esserci!) sempre qualcuno che sta al di sopra, che proprio per questo beneficia di incarichi ben remunerati, che comprendono anche quello di sovrintendere a che tutti si assumano, nella loro funzione, le responsabilità che competono loro. Anche questo è il ruolo del ministro. Che ha dato le dimissioni per dimostrare che la sintesi fra responsabilità oggettiva e responsabilità soggettiva è rappresentata dal senso dello Stato.

Giorgio Bido
Padova



Caro lettore,
da sempre in Italia le dimissioni sono un'attività poco praticata: al massimo si minacciano, difficilmente si danno e, quando accade, spesso poi si ritirano. Lei ha ragione: di fronte a un tragedia o un grave fatto non esiste solo una responsabilità oggettiva. In molti casi esiste anche una responsabilità politica di cui, chi occupa determinati ruoli, deve farsi carico. Se necessario anche dimettendosi, come ha fatto quel ministro. Non bisogna però cadere nella demagogia giustizialista. So che qualcuno non sarà d'accordo, ma il piano politico e quello giudiziario non vanno confusi. Una cosa sono le dimissioni, altro le condanne in tribunale. Chi occupa le posizioni di vertice di una catena di comando è colpevole sul piano giudiziario se, potendolo fare, non ha vigilato; se era a conoscenza di inefficienze o errori; se, peggio ancora, ha volutamente violato o fatto violare le norme. Insomma se esiste, è dimostrato e provato un rapporto diretto tra ciò che è accaduto e le sue scelte. Diversamente non si può pretendere che sia condannato solo in quanto occupava il posto più in alto nella scala gerarchica. Esistono diversi gradi di responsabilità che vanno tenuti distinti, cosi come va vinta la tentazione di trovare il capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica con l'intento di tacitarla. Non dimentichiamoci che la ghigliottina è stata spesso uno strumento di ingiustizia. Più raramente il suo contrario. 
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