Le grandi città messe in crisi dalla pandemia ci costringeranno a rivedere il nostro stile di vita

Domenica 25 Ottobre 2020

Caro Direttore
vivere in città costa di più da ogni punto di vista. Le abitazioni hanno affitti maggiori, l'inquinamento è elevato, il traffico nelle ore di punta spesso asfissiante, i tempi di spostamento più lunghi, i parcheggi non si trovano, i marciapiedi sono ormai ostili ai pedoni, i mezzi pubblici carenti e affollati. La sicurezza, soprattutto in alcune zone e di notte, non è garantita. Ma si dice che in cambio di questi disagi le città offrono molto di più dei paesi di provincia: grandi teatri e cinema, manifestazioni fieristiche, attrazioni culturali di ogni genere, la moda a Milano e le sue sfilate, famosi ristoranti dalle cucine etniche e innovative, mostre d'arte di tendenza, musei e pinacoteche, locali serali e notturni dove socializzare e tanti turisti che soprattutto nelle città d'arte spingono l'economia. Solo che il virus da otto mesi sta uccidendo tutti questi vantaggi metropolitani e le nostre città hanno cancellato le Fiere, le mostre, le serate musicali. Non ci si può più frequentare in gruppo, i ristoranti e i negozi sono semivuoti, i bar zoppicano, le discoteche chiudono, gli stadi paiono enormi ambulatori. Allora mi chiedo a cosa servano le città in queste condizioni, per quale motivo uno dovrebbe viverci . Provocatoriamente e paradossalmente: a cosa serve Milano senza Milano? Forse dovremo ripensare il nostro modo in urbanizzarci, forse cambieranno molte cose, forse il mito della città scricchiola e stiamo vivendo una situazione unica dal dopoguerra. Forse.


Luca Alfonsi
Cortina d'Ampezzo


Caro lettore,
oggi siamo travolti dai numeri, dalle preoccupazioni per il presente e per l'immediato futuro, dai timori per l'impatto che nuovi divieti e nuovi blocchi potranno avere sull'economia.

Ma è indubbio che questa crisi sanitaria globale lascerà un segno profondo nella nostra società. E ci costringerà, soprattutto quando ce la saremo lasciata alle spalle, a riflettere sui nostri stili di vita, sul modo in cui abbiamo organizzato le nostre comunità, su noi stessi e sul rapporto che abbiamo instaurato nel corso della tempi con ciò che ci circonda. Perché è indubbio che il flagello coronavirus ci costringerà a rivedere alcune nostre certezze e le nostre consolidare gerarchie. E una riflessione andrà necessariamente fatta sui grandi agglomerati urbani, oggi considerati i punti nevralgici delle nostre società, che però di fronte a questa pandemia hanno dimostrato tutte le loro fragilità e i loro limiti. La densità abitativa, la concentrazione urbana da elemento d'attrazione e da fattore di sviluppo è diventato improvvisamente un fattore di debolezza, un moltiplicatore del contagio. Le grandi aree metropolitane, fulcro del nostro mondo, sono quelle che oggi soffrono maggiormente, sono le più esposte alla pandemia, non solo le più colpite ma anche le più spaesate. Un tema su cui sarà necessario interrogarsi a fondo. Si sente spesso dire che dopo il virus nulla sarà come prima. Una frase ad effetto ma, per molti aspetti, è anche profondamente vera. Cerchiamo di non dimenticarlo e di arrivarci preparati.

Ultimo aggiornamento: 13:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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