Caro Direttore
vivere in città costa di più da ogni punto di vista. Le abitazioni hanno affitti maggiori, l'inquinamento è elevato, il traffico nelle ore di punta spesso asfissiante, i tempi di spostamento più lunghi, i parcheggi non si trovano, i marciapiedi sono ormai ostili ai pedoni, i mezzi pubblici carenti e affollati. La sicurezza, soprattutto in alcune zone e di notte, non è garantita. Ma si dice che in cambio di questi disagi le città offrono molto di più dei paesi di provincia: grandi teatri e cinema, manifestazioni fieristiche, attrazioni culturali di ogni genere, la moda a Milano e le sue sfilate, famosi ristoranti dalle cucine etniche e innovative, mostre d'arte di tendenza, musei e pinacoteche, locali serali e notturni dove socializzare e tanti turisti che soprattutto nelle città d'arte spingono l'economia. Solo che il virus da otto mesi sta uccidendo tutti questi vantaggi metropolitani e le nostre città hanno cancellato le Fiere, le mostre, le serate musicali. Non ci si può più frequentare in gruppo, i ristoranti e i negozi sono semivuoti, i bar zoppicano, le discoteche chiudono, gli stadi paiono enormi ambulatori. Allora mi chiedo a cosa servano le città in queste condizioni, per quale motivo uno dovrebbe viverci . Provocatoriamente e paradossalmente: a cosa serve Milano senza Milano? Forse dovremo ripensare il nostro modo in urbanizzarci, forse cambieranno molte cose, forse il mito della città scricchiola e stiamo vivendo una situazione unica dal dopoguerra. Forse.
Luca Alfonsi
Cortina d'Ampezzo
Caro lettore,
oggi siamo travolti dai numeri, dalle preoccupazioni per il presente e per l'immediato futuro, dai timori per l'impatto che nuovi divieti e nuovi blocchi potranno avere sull'economia.