Non dobbiamo credere di essere immortali ma neppure vergognarci dei progressi medici

Domenica 15 Novembre 2020

Gentile direttore,
fino a qualche decennio fa quando eravamo tutti poveri ma forse più assennati e la scienza non era ancora business si accettava che, dopo una certa età, la vita finisse; non si parlava a 85 anni, spudoratamente, di causa di morte ma si diceva molto giustamente e semplicemente: è morto di vecchiaia. E dietro a questo non c'era ignoranza ma solo buon senso perché si accettava che dopo una certa età (oggi mediamente 80 ma una volta anche 50) la vita finisse. Poteva finire per un'infezione, un infarto, un ictus, una caduta, un coronavirus ma cosa importava saperlo? Se non era uno era l'altro. Poi la scienza medica ha cominciato a fare business sulle malattie incurabili e sulla vecchiaia proponendo grandi studi e cure accanite e amplificando la naturale e comprensibile istanza umana di vivere più a lungo possibile. Ora però il boomerang lanciato verso l'immortalità sta tornando indietro e gli ultraottantenni già gravemente malati non accettano che sia una malattia sconosciuta chiamata Covid 19 a porre fine alla vita, lo sia pure qualche giorno dopo una metastasi del tumore o un ictus, cose contro cui la scienza medica dimostra di accanirsi, ma non deve esserlo una pivellina di malattia contro la quale ancora si deve fare tutto il possibile. E così, via tutti al pronto soccorso per opporsi a questa orribile sciagura! Ora quindi per la necessità di proseguire con l'inganno, la scienza medica deve fermare il mondo per fare vedere alla gente che no, non permetterà che la vita finisca, come 100 anni fa!

Angelo Mercuri

Caro lettore,
non siamo immortali e non dobbiamo commettere il fatale errore di pensare di esserlo.

Ma la medicina e la scienza hanno consentito agli esseri umani di vivere molto più a lungo di un tempo. Dovremmo lagnarcene o vergognarci? Non credo proprio. Come non credo che una persona di oltre 80 anni, ancorchè non in perfetta salute, debba rassegnarsi a morire. E perché mai? Ha voglia di vivere, pur con tutti i suoi acciacchi e le limitazioni imposte dall'età, e ne ha tutti i diritti e tutte le ragioni. Forse dovremmo provare a guardare le cose da una prospettiva un po' diversa. Che prescinde dall'età delle vittime della pandemia. Il coronavirus ci ha insegnato (o ci dovrebbe aver insegnato) che siamo assai più vulnerabili di quanto pensavamo. Che non siamo in grado di dominare la natura sempre e comunque, perché poi scopriamo che basta un nuovo, piccolo e sconosciuto virus per metter in ginocchio il mondo intero. Per questa ragione è sbagliato sottovalutare quello che sta accadendo intorno a noi. La tentazione di banalizzare il Covid, di auto-convincersi che in fondo è poco più di una simil-influenza è diffusa. Ma è il prodotto di una visione che, in estrema sintesi, non contempla la possibilità che l'uomo possa soccombere di fronte a ciò che gli sta attorno. Che non può accettare l'idea che minuscolo essere un po' misterioso possa metterci in ginocchio. Purtroppo invece è esattamente così.

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