Cotticelli e Tiani: due esempi disarmanti di un Paese che ai meriti ha anteposto l'appartenenza e la fedeltà

Sabato 14 Novembre 2020
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Caro Direttore,
da qualche tempo si sente dire che in Italia manca una classe dirigente, non solo politica: che ciò sia una realtà è sotto gli occhi di tutti. Credo si possa aggiungere, fatte le debite distinzioni, che anche la classe imprenditoriale sia quanto meno poco motivata e, senza scomodare gli Olivetti, Zoppas, Borghi ci sia più bisogno di vision, passione, voglia di fare e di rischiare. Le cose da fare non mancano. L'attività che non conosce limiti è la finanza, di cui molti sembra si siano innamorati. Ma si tratta di una attività molto pericolosa. Mi piacerebbe conoscere il suo pensiero. Vorrei essere ottimista. Almeno un po'.


Giancarlo Locatelli
Dosson di Casier (Treviso)


Caro lettore,
le vicende che hanno avuto come protagonisti in Calabria l'ex commissario della sanità Saverio Cotticelli e il suo degno successore Giuseppe Zuccatelli e in Puglia Giuseppe Tiani, ex presidente della società regionale Innova, hanno offerto in questi giorni un quadro avvilente ma reale della classe dirigente di questo Paese, anche ai livelli intermedi.

Il video che immortala Tiani che alla Commissione sicurezza della Camera - non al bar del suo paese - mostra un ciondolo ionizzatore vantandone «le capacità di eliminare qualsiasi virus di segno positivo in un metro cubo» è disarmante. Ci si chiede come una persona di questo tipo, capace di dare credito a tali panzane, possa essere finita a guidare una società che doveva pilotare l'innovazione di una importante regione italiana. Ma il punto è proprio questo. Per troppi anni nel nostro Paese nella selezione della classe dirigente ai meriti e alle competenze sono state anteposte altre qualità: la fedeltà, l'appartenenza, le relazioni, la contiguità. I risultati li abbiamo sotto gli occhi: perché solo questo può spiegare la presenza di personaggi come Tiani o Cotticelli che, purtroppo, sono solo un a piccola avanguardia di una larghissima schiera di loro simili. Lei mi chiede qualche ragione per essere ottimista. Non è facile. Ma sarebbe anche sbagliato annegare tutto nel pessimismo e non osservare, per esempio, come la crisi pandemica ci abbia ricordato quanti eccellenti professionisti operano nella nostra sanità. O quanti imprenditori sono comunque capaci, anche in un momento difficile come questo, di creare ricchezza e lavoro e competere sul mercato globale. Ecco se c'è una ragione di speranza sta in questo: le grandi crisi non permettono di dissimulare o galleggiare. Impongono di fare i conti con la realtà e di metter in campo, quando ci sono, le proprie capacità. Come dimostra la storia dei nomi degli imprenditori che lei ha ricordato, nel dopoguerra è successo esattamente questo. Speriamo possa succedere anche oggi.

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