La paura del diverso e l'accoglienza illimitata: le scomode verità su cui sarebbe bene riflettere

Sabato 27 Luglio 2019
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Caro Direttore,
sono rimasto sconvolto, credo come moltissime altre persone, dalla notizia arrivata da Trento del bambino autistico rifiutato dalla famiglia. Sconvolto perché innanzitutto ho pensato a cosa può provare una persona nel sentirsi rifiutata dalla propria famiglia e sconvolto perché ho immaginato il dramma di quei genitori. Giustamente è stato detto che un caso del genere rappresenta una sconfitta per tutti, una sconfitta per una società che non ha saputo prendersi cura di chi aveva bisogno di aiuto e sostegno per gestire una situazione difficile che poteva essere affrontata solo con l'aiuto di un sistema di assistenza sociale puntuale ed efficace. Credo però che da questo drammatico caso potremmo trarre una considerazione più generale riflettendo su come oggi si tenda a rifiutare il diverso o presunto tale. E penso ovviamente ai profughi. Certi leader politici, nostrani o stranieri, ci stanno abituando a pensare al diverso come a un pericolo anziché come ad un arricchimento, un modo di crescere e migliorare attraverso il confronto. Dobbiamo costruire ponti e non muri o reticolati di filo spinato, dobbiamo gestire il problema non demonizzarlo, tenendo conto che non più tardi qualche ora fa sono morte annegate oltre cento persone, non migranti, persone che semplicemente cercavano, forse illudendosi, una speranza di vita migliore.


Maurizio Conti
Portogruaro (Venezia)


Caro lettore,
condivido la sua sconvolta reazione. Mi lascia invece perplesso il parallelo che fa con i richiedenti asilo e le conclusioni a cui giunge. Se infatti molto persone (e non penso ai leader politici ma a tanti cittadini) guardano con ostilità i fenomeni migratori, non è per paura del diverso. Ma perché sono spaventate dalle dimensioni dei flussi migratori e dai loro possibili effetti. La pura del diverso è tuttalpiù una conseguenza della mancata o sbagliata gestione di questi fenomeni. Mi permetto di segnalare un libro uscito recentemente, L'ospite e il nemico. Lo ha scritto da Raffale Simone, che non è intellettuale sovranista, ma un saggista di sinistra i cui scritti sono stati spesso pubblicati su riviste come il Mulino o Micromega. Con la forza dei numeri e di una ampia documentazione, Simone spiega che per gestire il fenomeno migratorio bisogna innanzitutto liberarsi da quelle che definisce le retoriche dell'accoglienza e fare i conti con la realtà. Perché un'accoglienza illimitata non è né pensabile né possibile. Non lo è sul piano concettuale, perché equivale a teorizzare la cancellazione dei confini nazionali, cioè di qualcosa che, come scrive Simone, rappresenta una «necessità etologica degli esseri umani». Ma soprattutto non può esistere né essere rivendicato un diritto ad andare a vivere dove si vuole e nel numero che si vuole, indipendentemente dalle volontà di chi in quegli stessi luoghi vive da tempo e ne ha modellato caratteristiche, culture e costumi. Non si tratta di demonizzare niente e nessuno. Si tratta di capire che una cosa è l'umana solidarietà nei confronti dei singoli, altro è la gestione di fenomeni collettivi che possono avere un impatto forte e violento sulle nostre comunità. Simone nel suo libro parla di «sconsiderata rilassatezza» delle politiche migratorie adottate in Europa. È un'affermazione forte. Ma su cui faremmo bene a riflettere.
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