L'alba del ventunesimo secolo è rovente per i ghiacciai di tutto il mondo: negli ultimi 20 anni il loro scioglimento è accelerato su scala globale, e ha contribuito per quasi un quinto dell'innalzamento del livello dei mari.
«Questo studio ha ridotto notevolmente i margini di incertezza presenti negli studi precedenti così come nell'ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) del 2019», commenta Massimo Frezzotti, glaciologo dell'Università di Roma Tre e presidente del Comitato glaciologico italiano. «Grazie alle immagini aeree e satellitari, è stato possibile misurare le variazioni di spessore di quasi tutti i ghiacciai mondiali, e non solo di quelle poche centinaia che vengono solitamente monitorati perché più facilmente accessibili». I risultati ottenuti sono in linea con quelli di studi precedenti, ma molto più precisi: «per questo permettono di capire meglio le correlazioni con le condizioni climatiche e ambientali», sottolinea il glaciologo. È un pò come sfregarsi gli occhi e riuscire finalmente a mettere a fuoco dettagli mai colti prima.
«I dati indicano che attualmente i ghiacciai stanno cedendo più acqua rispetto alle grandi calotte polari, anche se queste ultime (che contengono maggiori quantità di acqua) stanno accelerando molto più in fretta: la Groenlandia dal 2000 a oggi ha aumentato la perdita di ghiaccio del 162%, mentre l'Antartide del 436%», ricorda l'esperto. I ghiacciai presenti in Alaska e nelle Ande sono quelli che negli ultimi vent'anni hanno registrato le maggiori perdite, mentre i ghiacciai alpini detengono il primato mondiale per quanto riguarda la riduzione dello spessore medio, pari a circa un metro all'anno. «Un dato che non sorprende - dice Frezzotti - considerato che dall'inizio del ventesimo secolo i ghiacciai alpini si sono ridotti di oltre il 60%».
È evidente che «stiamo perdendo un grande patrimonio ambientale ed economico, con gravi implicazioni per molte popolazioni del mondo. La fusione dei ghiacciai - spiega l'esperto - comporta la perdita di importanti serbatoi d'acqua in grado di aiutare l'agricoltura e l'industria tamponando la scarsità delle precipitazioni nei periodi di secca. Inoltre l'acqua di fusione finisce nei mari, che si stanno innalzando di 3,5 millimetri all'anno: un problema non solo per città come Venezia, ma anche per quell'11% della popolazione mondiale che abita in zone costiere che rischiano di essere sommerse».