I giudici del consiglio di stato hanno respinto il ricorso di Damiano Coletta contro la sentenza del Tar che lo ha dichiarato decaduto da sindaco e che ha disposto che si rivoti nel capoluogo pontino nelle 22 sezioni dove non tornavano i conti tra schede timbrate e quelle poi conteggiate alla fine delle operazioni di voto.
Nelle motivazioni che sono state appena pubblicate i giudici (presidente Carlo Saltelli, estensore Francesco Frigida) «reputato, in ossequio al criterio della ragione più liquida, di poter prescindere dall’esame delle eccezioni pregiudiziali e preliminari, stante l’infondatezza di entrambe le impugnazioni, dirette ad ottenere, mediante la riforma della sentenza gravata, il rigetto del ricorso di primo grado» hanno spegato che «la prima censura formulata nell’appello principale e in quello incidentale (tra loro sostanzialmente sovrapponibili e proposti da soggetti aventi il medesimo interesse alla conservazione del risultato elettorale) è infondata, giacché, come correttamente affermato dal T.a.r., la prova di resistenza non è necessaria (e peraltro non è concretamente esigibile) laddove, come nel caso di specie, in sede di verificazione siano riscontrate, in numerose sezioni, violazioni delle regole di voto e di scrutinio talmente gravi, manifeste e sistematiche, da far emergere un quadro di generale inquinamento del voto, che ne alteri in modo oggettivo la genuinità e soprattutto renda impossibile, con valenza assorbente ogni ulteriore considerazione, ricostruire l’effettiva volontà del corpo elettorale interessato».
A tal proposito «precisato al riguardo - si legge nella motivazione - che nella fattispecie in esame la Prefettura di Latina ha accertato, tra varie anomalie, in un numero significativo sezioni la non corrispondenza del numero complessivo di schede autenticate rispetto alla somma delle schede effettivamente utilizzate dagli elettori e di quelle non utilizzate e indicate a verbale, con una differenza numerica, in alcune sezioni, non trascurabile; – osservato che siffatte incongruenze – e in particolare la mancanza di schede autenticate e non votate – attengono agli aspetti generali delle operazioni elettorali, sicché non possono essere dequotate a mere irregolarità, denotando, invero, un’estrema confusione che ha governato svariati seggi, idonea ad influire N. 05726/2022 REG.RIC.
I giudici evidenziano che «la seconda e ultima doglianza recata dall’appello principale e da quello incidentale è parimenti infondata, in quanto il riferimento al fenomeno della cosiddetta scheda ballerina – effettuato dal T.a.r. e contestato dagli appellanti nella sua effettiva sussistenza, che sarebbe stata erroneamente supposta in base indici non univoci e su basi probabilistiche – è, in ogni caso, un argomento ultroneo - chiariscono i magistrati - rispetto alle oggettive gravi illegittimità accertate, che di per sé sono idonee ad invalidare irrimediabilmente le operazioni elettorali e di conseguenza il loro esito, anche senza ipotizzare il doloso utilizzo su vasta scala del fraudolento meccanismo della scheda ballerina».
«Osservato altresì che i motivi aggiunti, proposti - dicono i giudici - con atti sovrapponibili, dall’appellante principale e dagli appellanti incidentali avverso i provvedimenti prefettizi emessi in esecuzione della sentenza di primo grado e con cui se n’è sostenuta la loro illegittimità derivata dalla lamentata erroneità della predetta sentenza, sono assorbiti dal rigetto degli appelli, essendo ad essi strettamente connessi da un rapporto di pregiudizialità logica».
«Considerato infine che la peculiarità della vicenda e il corretto comportamento processuale delle parti giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio», il Consiglio di Stato «respinge l’appello principale nonché l’incidentale e dichiara assorbiti i motivi aggiunti e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; compensa tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio».