Reddito di cittadinanza a componenti del clan Di Silvio, scatta la denuncia

Mercoledì 23 Dicembre 2020 di Laura Pesino
Reddito di cittadinanza a componenti del clan Di Silvio, scatta la denuncia

Esponenti del clan rom Di Silvio, finite agli arresti nell'ambito dell'inchiesta Alba Pontina, ma beneficiarie del reddito di cittadinanza dall'anno 2019. E' quanto hanno scoperto i carabinieri del nucleo dell'Ispettorato del lavoro di Latina proprio nel corso di un'indagine relativa all'erogazione della misura economica indebitamente richiesta da alcuni residenti del capoluogo dichiarando il falso.
Durante l'attività di verifica sono finite nel mirino due donne rom appartenenti a due distinte famiglie dello stesso clan, Angela Di Silvio e Genoveffa Sara Di Silvio. I militari hanno accertato che la prima, al momento di presentare la richiesta all'Inps per il reddito di cittadinanza, per il tramite del patronato Enac, si trovava in realtà agli arresti domiciliari in virtù di un provvedimento del tribunale di Roma scattato a conclusione dell'inchiesta Alba Pontina.
Nello stesso nucleo familiare della donna erano finiti in carcere altri cinque uomini, tra cui il marito Samuele Di Silvio e tutti i vertici della famiglia, e ai domiciliari quattro donne.

Nonostante questo a ottobre del 2019 l'Inps le ha concesso il beneficio economico.


Genoveffa Sara Di Silvio, figlia del capostipite Armando e compagna di Federico Arcieri, aveva invece presentato la richiesta agli stessi uffici a settembre del 2019. Anche la giovane e il suo convivente erano coinvolti nella stessa operazione condotta dalla polizia che aveva portato a scoprire gli affari del clan e ad eseguire numerosi arresti per reati legati ad estorsione e droga anche con l'aggravante del metodo mafioso.
Il reddito di cittadinanza era stato quindi concesso in frode del Decreto legge del 28 gennaio 2019 coordinato con la legge del 28 marzo 2019, che prevede, all'articolo 7, che «salvo che il fatto non costituisca reato più grave, chiunque rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute ottenendo indebitamente il reddito di cittadinanza è punito con la reclusione da due a sei anni».
Oltre ad essere indagate per questo reato entrambe sono accusate anche di evasione dai domiciliari, proprio perché mentre si trovavano in regime detentivo si erano arbitrariamente allontanate dalle loro abitazioni per potersi recare al patronato e compilare la domanda.
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