Coronavirus, anche al "Goretti" la terapia con il plasma dei pazienti guariti

Domenica 17 Maggio 2020 di Giovanni Del Giaccio
Il centro trasfusionale del Goretti

Manca solo l’autorizzazione. È questione di giorni, poi anche all’ospedale “Santa Maria Goretti” si sperimenterà l’utilizzo del plasma di pazienti guariti per curare eventuali altri positivi al Covid 19. Siamo in una fase discendente della pandemia, in Italia come in provincia di Latina, ma occorre essere pronti a ogni evenienza e il centro trasfusionale, insieme alle malattie infettive, ha predisposto tutto ciò che è necessario.
Uno scambio continuo quello tra l’ematologo Francesco Equitani e l’infettivologa Miriam Lichtner, quel “gioco di squadra” che ha caratterizzato e sta caratterizzando la gestione dell’emergenza nella Asl di Latina, come spesso sottolineato dal direttore generale Giorgio Casati.

LA PROCEDURA
Non c’è da gridare al “miracolo”, l’utilizzo del plasma è una tecnica in uso anche per altre patologie e di fronte alla pandemia in alcune strutture del nord - da Padova a Pavia - hanno avviato l’iter previsto per usarlo. Tre unità sono state fatte arrivare anche al “Goretti” proprio da Pavia, ma purtroppo si sono rivelate inutili e i pazienti per i quali sono state utilizzate sono deceduti.
La Regione Lazio, nel frattempo, ha aderito a un protocollo con la Toscana, mentre l’ospedale del capoluogo ne ha redatto uno che adesso è al vaglio del comitato etico “Lazio 2”. Una volta approvato si avrà la possibilità di utilizzare il plasma dei guariti per curare nuovi positivi. Non è un vaccino, insomma (che serve a prevenire il contagio), tanto meno una cura universale ma uno dei trattamenti possibili.

COME FUNZIONA
Si “arruolano” pazienti guariti, ai quali si chiede se sono disponibili a donare il plasma. La prima cosa è che non debbono avere altri sintomi e che due tamponi debbono essere negativi. Non basta, però, perché vanno svolte una serie di analisi accurate e particolarmente costose per le quali il “Goretti” si rivolgerà allo “Spallanzani”. Il paziente non deve avere epatiti, per esempio, o essere soggetto ad altri patogeni, ma soprattutto deve avere una percentuale di anticorpi ancora efficace. Vale a dire che il suo plasma possa realmente essere utilizzato per curare. Il problema, al momento, è che i “negativizzati” vedono diminuire la percentuale di anticorpi nel giro di 2-3 settimane, quindi è prima che occorre intervenire.

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LA PROSPETTIVA
L’idea è che la cura attraverso il plasma dei pazienti guariti non possa essere utilizzata in questa fase. La curva dei contagi discendente e il fatto che finora abbiano funzionato altre terapie, soprattutto prendendo per tempo l’infezione e curando buona parte dei positivi a domicilio, fa più pensare a una disponibilità della terapia per un impiego futuro. Vale a dire per una eventuale “ripresa” del virus, attesa in tutta Italia per l’autunno. A quel punto, il “Goretti” avrebbe anche questa possibilità oltre quelle già messe in campo.
Al centro trasfusionale, uno dei più attrezzati nel Lazio, si procederebbe alla plasmaferesi dei pazienti “arruolati”. Di prelievi del genere, del resto, ce ne sono già circa 2000 l’anno e in questo caso sarebbero specifici per curare il Covid 19. Da ciascuna “sacca” sarebbero ricavate fino a 3 “aliquote” da infondere su malati positivi al Coronavirus. Una delle frontiere della cura, per le quali il “Goretti” è presente.
 

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