Il manifesto per tasse più giuste: ecco la ricetta per la vera equità fiscale

Giovedì 27 Settembre 2018
La locandina di un incontro in Lombardia
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Ecco il manifesto del rischio (non solo d’impresa)  per una tassazione dei redditi inversamente proporzionale al rischio

«I crediti inesigibili (non più riscuotibili) dell’Agenzia Entrate (che “accerta”, ogni anno, 60-70 miliardi di euro incassandone meno di 8) frutto, in gran parte, di accertamenti a vuoto, hanno già superato la folle cifra (superiore ai bilanci della difesa russo e americano!) di 800 miliardi. È in corso, confermata dalla chiusura di 400 aziende al giorno4 e dai cartelli “vendesi-affittasi” ovunque, la distruzione della piccole imprese, pilastro dell’economia e dell’occupazione5 . I controlli a loro carico avvengono “a tappeto” in violazione del principio di uguaglianza, essendo ingiusto controllare una categoria anziché un’altra. Considerato che i piccoli imprenditori sostengono costi, in termini di rischio, maggior lavoro e minor assenza, per ferie, malattia, maternità ecc. dal lavoro stesso che, nonostante non vengano contabilizzati in quanto “indeducibili”, incidono pur sempre sul risultato d’esercizio conducendolo, molto spesso, in perdita e che quest’ultimo, per le imprese, coincide con la “capacità contributiva” in ragione della quale vanno pagate le imposte, tali controlli contrastano gravemente con lo stesso art. 53 della Costituzione. I verificatori “presumono” (leggasi, alla luce degli 800 miliardi di cui si è detto, “inventano”) maggiori vendite a carico di soggetti in libero mercato impossibilitati a vendere, più di tanto, a causa della concorrenza e comunque tenuti a far quadrare i ricavi con gli acquisti e le spese del personale (difficilmente occultabili). Le maggiori vendite vengono calcolate in base agli orari di apertura dei negozi e dei laboratori reintroducendo, così, a carico di veri e propri lavoratori, una nuova odiosa forma di lavoro a cottimo. Non contenti, i verificatori “recuperano” a tappeto anche le sponsorizzazione in favore delle associazioni sportive (che, infatti, stanno chiudono in massa lasciando sulla strada i giovani). La cosa “buffa” (ne abbiamo le prove) è che le recuperano in quanto “non inerenti” pur ritenendole in tutto o in parte false (prova ne sia che non hanno, né potrebbero avere, la più pallida idea “a cosa”, invece, di diverso dall’impresa, siano inerenti; falsificando, così, i relativi accertamenti (da considerarsi, pertanto, nulli)! Non vengono, invece, verificati a tappeto i costi (facilissimi da controllare) che i beneficiari di appalti e incarichi pubblici “devono” a gonfiare per pagare tangenti: con tali controlli, Agenzia Entrate e GdF avrebbero potuto salvare l’Italia dalla corruzione e dal debito pubblico!

Alle prese con un numero dei piccoli imprenditori triplo rispetto agli altri paesi europei, l’Agenzia (“titolare” dell’accertamento) si ritrova con potere di vita o di morte (non solo economica), ampiamente discrezionale e potenzialmente corruttivo , infinito. Non è un caso che gli stessi dipendenti dell’Agenzia siano considerati e (come già il sottoscritto) considerino se stessi, più o meno “importanti” a seconda dell’assegnazione ai “controlli” anziché ai “servizi al contribuente”. Per non parlare dei vertici (contattati in continuazione dai politici). Lo “sconto” medio del 44% applicato in sede di “trattativa” fa capire che gran parte degli accertamenti sono “presuntivi”, ergo ampiamente discrezionali. Visti i numeri (70-80 miliardi/anno), è in corso la più grande possibilità di corruzione (di cui il nostro paese, tra i più corrotti al mondo, non sentiva certo bisogno!) di tutti i tempi. Gli accertamenti contro le piccole società vengono estesi ai soci facendo venir meno, da noi, il pilastro, la responsabilità limitata, dell’economia mondiale. Ben ¾ dei pagamenti sono “spontanei” per evitare cifre (molte volte di decine se non centinaia di migliaia di euro che potrebbero condurre alla morte, non solo economica, i contribuenti) cinque o sei volte superiori. In caso di mancata “adesione” i contribuenti devono rinunciare agli “sconti” e alla riduzione di almeno 2/3 delle sanzioni nonché affrontare spese di difesa mediamente pari, in tre gradi di giudizio, al 39,6% del valore delle relative cause; senza considerare i giorni di lavoro persi, stress, rischio di ammalarsi ecc. Viste le cifre (70-80 miliardi) e ferma restando la buona fede dei funzionari, che però non deve e non può bastare, è in corso la più grande “estorsione” (nell’accezione degli stessi ex ministro Visco e viceministro Zanetti) di tutti i tempi! Con il rischio che il Nord del Paese (dove si raccolgono più soldi) faccia la fine del Sud (senza economia, da sempre, a causa di tali metodi). E nonostante l’art.1427 cc preveda che “il consenso estorto con violenza” (vissuta da chi teme di morire, non solo economicamente) sia da considerarsi nullo. Per difendersi, i contribuenti vanno incontro a parcelle parametrate alle immense cifre accertate o “risparmiate”. Il costi per il Paese (senza considerare il costo dell’Agenzia Entrate, della Guardia di Finanza, dell’avvocatura dello stato ecc.), a seguito di tali accertamenti (90% dei quali a vuoto) superano, di gran lunga, i risultati della lotta all’evasione! È in corso il trasferimento di gigantesche risorse umane (consulenti anziché dirigenti d’azienda o imprenditori) e materiali dall’economia reale (impresa) a quella virtuale (mondo accademico-professionale). Gli scandali in materia di assegnazione di cattedre universitarie (sotto accusa da sempre) scoppiano, guarda caso, nel mondo tributario.

“Oportet ut scandala eveniant! - È necessario che gli scandali vengano alla luce” (Vangelo di Matteo). Circa 250 mila accertamenti (“valore” medio 150 mila euro) vengono impugnati davanti a Commissioni tributarie alle quali viene, pertanto, “girato” gran parte dell’immenso potere discrezionale di cui sopra. Altrettanti centinaia di migliaia di ricorsi passano al vaglio di circa 3.000 giudici, in gran parte magistrati e dirigenti pubblici (persone, cioè, che godono di stipendi pubblici molto superiori alla media) che svolgono volontariamente tale (complessivamente immenso) “secondo” lavoro, forse non inferiore al “primo”, mentre i rispettivi uffici e tribunali sono, notoriamente, al collasso.

Al pari dei ricorsi, ogni sentenza (depositata a distanza di mesi, se non anni dalla relativa “pronuncia”) richiede ore di lavoro e di studio e comporta, per i giudici, notevoli rischi civili, contabili e qualche volta perfino penali (nel caso, non infrequente, di denunce o esposti). A fronte di tale massacrante e rischioso lavoro i giudici tributari percepiscono lordi 30 euro per sentenza e 3-4.000 euro all’anno sufficienti, a malapena, a far fronte alle spese di aggiornamento e di trasferta in “aule” di udienza molte volte lontane . Prende piede, nel nostro paese (dove qualcuno ha l’ardire di chiederne perfino il “potenziamento”!), l’unica associazione (la Giustizia tributaria) di sostanziale volontariato di cui tutti (compreso il sottoscritto convinto, com’è, che “Il potere logora chi non ce l’ha”) ambirebbero far parte e dalla quale, a differenza di altre associazioni costantemente con pochi volontari, non si dimette praticamente nessuno. Dopo la sentenza di primo grado, a “proporre” l’appello nel 50,62% dei casi è l’ufficio. Ciò significa che il contribuente vince esattamente la metà (dato confermato dall’analoga media del 50% degli accoglimenti/rigetti della CTR Veneto anni 2013-2017. Se non fossi convinto (sapendo come “lavora”) che l’Agenzia delle Entrate, che peraltro tiene a essere considerata un’”azienda” sbaglia metà dei propri “prodotti”, mi verrebbe da pensare che la Giustizia tributaria è contraria alla riduzione dei ricorsi: accogliendone di più, infatti, gli uffici verrebbero dissuasi dall’ “accertare”; di meno, i contribuenti dal ricorrere. In entrambi i casi è opportuno che il Governo si interroghi su quanto sta accadendo. Non foss’altro perché la stessa Suprema Corte è “sommersa”  (a scapito della Giustizia in generale) dai ricorsi. Contro i quali, a dire il vero, potrebbe fare di più ponendo maggiori paletti agli accertamenti presuntivi. Resta il fatto che, nel momento in cui condannano i contribuenti al pagamento di somme in favore dell’Erario, i giudici tributari favoriscono, beninteso indirettamente (e sicuramente in buona fede) anche se stessi in qualità di cittadini beneficiari delle pubbliche entrate. In parole povere i ricorsi (dopo) e gli accertamenti (prima) vanno ridotti al minimo! Lungi dal costringere i funzionari (due dei quali lo hanno addirittura denunciato), come si azzardava a fare il sottoscritto quando dirigeva uffici dell’Agenzia Entrate, ad “accertare” solo con la sicurezza al 100% evitando quasi tutti i ricorsi, quest’ultima introduce sempre nuovi obblighi a carico delle piccole imprese strangolando quelle sfuggite agli accertamenti presuntivi. Privati di tutto, a differenza (anche qui in violazione del principio di uguaglianza) di altri lavoratori cui viene sottratto non più di 1/5 dello stipendio, decine di migliaia di lavoratori autonomi e piccoli imprenditori sono costretti a rivolgersi alla Caritas. Anziché alzare la voce contro tale, catastrofica, “politica” i commercialisti, unici lavoratori al mondo, scendono in sciopero per…il “troppo lavoro”! Unici a salvarsi, gli imprenditori col “pelo sullo stomaco” (l’erba cattiva fa morire quella buona) e gli stranieri che non hanno nulla da perdere. È in corso l’imbarbarimento (e la morte civile) del Paese! È indispensabile una sorta di “Giubileo fiscale” con cui annullare gli accertamenti e le cartelle frutto della “politica” oggettivamente estorsiva (cioè tutti), di cui si è detto.  E’ sufficiente digitare su google “compensi giudici tributary” per rendersi conto dell’esiguità degli stessi

È bene ricordare (alle persone in buona fede) che l’Agenzia ha 800 miliardi non di lire ma euro di crediti inesigibili! (Italia Oggi 20/6/18 - Ufficio statistica Cassazione).  Ovviamente senza alcuna conseguenza per il sottoscritto, forse unico direttore d’ufficio che non ha mai chiesto ai propri collaboratori la lista delle persone da controllare. È necessario, altresì, ridurre al minimo gli accertamenti contro i piccoli imprenditori che il predecedente governo aveva addirittura aumentato . Sollecitiamo (anche attraverso i cittadini) ogni ente o ufficio pubblico (anche tribunal) a trasmettere all’Agenzia Entrate e alla Guardia di Finanza una richiesta del seguente tenore: “Premesso che la corruzione e il debito pubblico sono favoriti dalla maggiorazione dei costi dei fornitori e/o dei beneficiari di appalti e/o incarichi della PA (tribunali compresi) per pagare tangenti, si chiede di controllare non tanto “i fornitori” dello scrivente ente e/o ufficio e/o tribunale, quanto i soli costi dei medesimi per accertare se siano, o meno, veri”. Sarà così possibile procurare maggiori risorse ai rispettivi comuni (beneficiari della lotta all’evasione) allentando, contemporaneamente, la morsa mortale contro le piccole imprese. Invitiamo, infine, politica e mondo accademico a valorizzare il rischio (non solo d’impresa) attraverso la tassazione in misura inversamente proporzionale all’uscita, dalle rispettive categorie di lavoratori e imprese per motivi (licenziamento, dimissioni, cessazione attività, fallimento ecc.), diversi da quelli “naturali” (morte, pensione ecc.); ovvero in misura inversamente proporzionale al rischio di perderli o in rapporto alla loro sicurezza e/o stabilità. Più una categoria (in determinato luogo e/o contesto) di persone fisiche o giuridiche “rischia”, meno deve pagare; e viceversa (a costo zero, pertanto, per l’Erario). La relativa percentuale (ricavabile con precisione dall’Inps o Camera commercio) conseguirebbe direttamente alle vicende lavorative o aziendali di lavoratori e imprese, in altre parole al mercato del “lavoro” nel significato (art.1 Cost.) più alto del termine.

Una volta applicata tale modalità di tassazione avrà, infatti, i seguenti, inevitabili, vantaggi:
a) capacità contributiva (finalmente) rapportata all’intera vita del contribuente (anni di vacche magre compresi);
b) aumento della domanda di attività e lavori rischiosi (impresa) e/o precari;
c) maggiore Uguaglianza. A seconda dei casi elevata o ridotta, la tassazione ridurrà, infatti, le scandalose differenze reddituali “giustificate” solo dalla maggiore o minore “intelligenza” (ovvero superamento o meno di concorsi “truccati”) variando pochissimo, i relativi “quozienti”, tra le persone;
d) riduzione faraonici compensi dirigenti pubblici;
e) disincentivazione raccomandazioni per posti e/o incarichi non più “gettonati” causa elevatissime imposte;
f) riduzione relative clientele;
g) occupazione relative posizioni da parte di persone interessate al bene commune;
h) sostanziale abolizione vitalizi e pensioni d’oro;
i) penalizzazione “vecchie” raccomandazioni;
l) uguaglianza sostanziale: “uguali” trattati “uguale” e “diversi” (come rischio) in modo diverso;
m) trasformazione società di capitali in società di persone (più affidabili per creditori fisco);
n) unità del paese, valorizzazione delle persone migliori in ogni suo angolo, possibilità di riscattarsi di coloro che, nel frattempo, sono emigrati in altre regioni;
o) impossibilità di arricchirsi (grazie alle Flat-tax) a spese di milioni di persone;
p) maggiore democrazia. Milioni di “formiche”, spontaneamente dirette verso il bene comune decideranno, infatti, il proprio futuro attraverso le proprie scelte e/o vicende economiche e lavorative senza i condizionamenti della propaganda di regime (che, nella storia, ha creato mostri eletti “democraticamente”). Democrazia “diretta”, anzi non diretta da nessuno
q) analoghe possibilità per la “vecchia” Europa (partendo dal nostro Paese)».

Luciano Dissegna già dirigente Agenzia Entrate e arbitro Consob 
Ultimo aggiornamento: 19:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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