Zona rossa, Cencelli: «Le istituzioni hanno sottovalutato il caso, il pressing delle imprese ha fatto il resto»

Domenica 14 Giugno 2020 di Claudia Guasco
Zona rossa, Cencelli: «Le istituzioni hanno sottovalutato il caso, il pressing delle imprese ha fatto il resto»

Nembro, focolaio della Val Seriana che doveva diventare zona rossa, ha un triste primato: percentuale più alta di morti e contagiati dal Covid-19 in rapporto alla popolazione. Tra il 23 febbraio e il 30 aprile i decessi sono stati 183, «quando la media degli anni precedenti era di 25-25», dice il sindaco Claudio Cancelli, anche lui colpito dal virus. Forse, se il territorio fosse stato isolato, si sarebbe evitato il disastro. Di certo quando si è cominciato a parlare di zona rossa «era già troppo tardi e l'epidemia stav dilagando».

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Quanto tempo prima sarebbe stato necessario agire?
«Bisognava chiudere tutto già a febbraio. Il punto è che a Nembro è passato troppo tempo dai primi contagi alla diffusione dell'epidemia senza che si prendessero provvedimenti».

Un'indecisione fatale.
«Ho vissuto quei momenti in un'atmosfera di attesa, quasi di sospensione. La tensione era alta, le informazioni non ufficiali, si parlava di spostamento di truppe, c'erano voci dei carabinieri pronti a sigillare tutto, forse chiudono forse no. Ma noi sindaci non siamo mai stati messi al corrente, nessuno ci ha coinvolto. Né la Regione, né il governo. Telefonavo in prefettura per avere informazioni, dovevo organizzarmi con la protezione civile e la polizia locale, ma non ottenevo alcuna risposta. Mi ricordo che a un certo punto ho anche detto: Per favore, non vorrei scoprire di essere zona rossa dai giornali, almeno fatemelo sapere. La prefettura non ha svolto un ruolo di coordinamento come ha fatto in altre occasioni, attivando il comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico. Noi sindaci siamo stati esclusi da qualsiasi tipo di informazione, anche se dovevamo gestire una situazione critica: c'era un problema sanitario, le ambulanze che andavano e venivano, io mi svegliano di notte con il suono delle sirene».

Perché secondo lei la zona rossa non è mai stata fatta?
«All'inizio c'è stata una sottovalutazione del problema, a tutti i livelli: lo si è capito dal ritardo con il quale gli ospedali hanno cominciato a gestire l'epidemia. A fine febbraio si diceva è solo un'influenza, ai primi di marzo c'era lo slogan Bergamo non si ferma. Va anche considerata la conformazione del nostro territorio, fortemente urbanizzato, e questo rende complicata la gestione di una zona rossa dove i paesi si susseguono e non sono separati dai campi come a Codogno. Sicuramente ha pesato la componente del tessuto produttivo, che ha un'attività orientata all'export su cui la chiusura avrebbe avuto un forte impatto. Ma il fattore principale ritengo sia che governo e regione in particolare non hanno operato in modo coeso, c'è stata una conflittualità determinata dal differente schieramento politico che si è riverberata in tanti passaggi. In una situazione così drammatica il senso di responsabilità istituzionale avrebbe dovuto prevalere. Mettersi insieme per il bene di tutti, ma questo non è avvenuto. Non dico ci sia stato un rimpallo responsabilità, di certo è mancata l'assunzione di una responsabilità comune. Il Titolo V della Costituzione, che definisce le materie cosiddette concorrenti, se non è gestito in un'ottica di collaborazione sfocia nel conflitto».

Nel quale si è innestata l'opposizione degli industriali.
«Che le aziende abbiano espresso le loro preoccupazioni per la zona rossa, temendo la perdita delle commesse, è normale, ci mancherebbe. Ma alla fine la decisione spetta alla politica. Parlo da sindaco: ho tanti portatori di interesse, ma le mie scelte hanno un fondamento tecnico. Ecco, i comitati scientifici dovevano illustrate i dati alla regione, che poi avrebbe dovuto prendere una decisione. È mancata la politica, poi vedremo dagli approfondimenti dei magistrati se davvero è andata così».

Qual è stato il momento più difficile?
«Era il 15 marzo. Registravo il messaggio di incoraggiamento che ogni sera trasmettevo al telefono a 2.200 concittadini. Ebbene, quel giorno l'ho scritto ma non sono riuscito a registrarlo, tanta era la disperazione. Scorrevo i dati dell'anagrafe, a Nembro morivano dieci abitanti ogni ventiquattr'ore».

 

Ultimo aggiornamento: 11:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA