L'infettivologo Vella: «Virus ancora forte, se allentiamo saremo costretti a un nuovo lockdown»

Sabato 2 Maggio 2020 di Barbara Carbone
Stefano Vella

L’avvio della fase 2 è alle porte ma resistono, anche tra gli esperti, dubbi e paure sul futuro che ci attende. Invita a non abbassare la guardia Stefano Vella, medico infettivologo, professore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, già direttore del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto Superiore di Sanità. Il virus, per Vella, non si è indebolito e sarà necessario rispettate ancora a lungo e con rigore le misure di distanziamento sociale.

Professore Vella, cosa cambierà il 4 maggio? Possiamo almeno dire che il peggio è passato?
«Assolutamente no. Non c’è da stare tranquilli. L’epidemia non è finita. Dobbiamo capire che il virus è tra noi e vola con la velocità di un soffio. Non dimentichiamoci che da un caso a Wuhan siamo arrivati a tre milioni di contagiati. Il Covid 19 è poco prevedibile e, per certi versi, geniale perché, come l’aids, può essere asintomatico. Si tratta di una malattia che nel 50% dei casi è asintomatica quindi c’è una parte della popolazione che ha trasmesso il virus senza sapere di averlo avuto. Il vero problema è la velocità di trasmissione».

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Quindi come dobbiamo comportarci nei prossimi mesi?
«La fase 2 è quella della responsabilità personale. Se le persone cominciano a sentirsi tranquille e non rispettano le regole ormai note, dall’uso della mascherina al distanziamento sociale, certamente andrà incontro a un nuovo lockdown. Le riaperture vanno gestite con prudenza e con un attento controllo dell’epidemia».

In questi giorni c’è la corsa ai test sierologici. Possono darci delle indicazioni attendibili per comprendere se abbiamo sviluppato un’immunità?
«I test, che tra l’altro saranno eseguiti anche dal governo nei prossimi giorni, sono in realtà epidemiologici. Servono cioè solo a capire quante persone sono entrate in contatto con il virus ma non possiamo sapere se questi individui possono ritenersi coperti dagli anticorpi e soprattutto per quanto tempo. Sui coronavirus umani l’immunità dura poco. La vera immunità di gregge potrà darla solo il vaccino».

Quando potrebbe essere pronto?
«Non prima del prossimo giro di giostra cioè quando il virus tornerà. L’unico vaccino che potrebbe funzionare è uno che stimoli gli anticorpi neutralizzanti. I tempi sono ancora lunghi. Nel frattempo è necessario che tutti, non soltanto gli anziani, prima dell’autunno facciano il vaccino contro l’influenza. Il rischio, è che ci sia la concomitanza di due virus respiratori apparentemente simili e che si finisca per trattare come Covid una normale influenza».

C’è qualche campanello d’allarme per capire quando si tratta di coronavirus?
«Si, per esempio la tosse provocata dal Covid arriva quando si parla e sparisce la notte. C’è poi un grande affaticamento e la perdita del gusto e dell’olfatto. Se si hanno questi sintomi per 24 ore bisogna chiamare subito il proprio medico».

Durante la fase 1 l’Italia ha commesso degli errori?
«Il più grande errore è stato non comprendere l’importanza delle cure territoriali. Tante patologie possono essere curate a casa con l’ausilio delle Unità Sanitarie di Continuità Assistenziale. Bisogna deospedalizzare la sanità. L’ospedale deve essere riservato alle cure intensive».










 

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