Ucraina, gli occhi tristi dei fratellini a Castel Gandolfo: «Non chiedono della madre»

Nikita ed Elias, 10 e 11 anni, i figli della donna morta a Roma dopo 30 ore di viaggio in autobus

Domenica 27 Marzo 2022 di Raffaella Troili
Foto di Luciano Sciurba

«Stai attento che ti fai mal...». Non si riesce a finire la frase uscita d’istinto, uno non la capisce nessuno, due quanto male si può fare un bambino scappato dalla guerra in Ucraina e che ha appena perso la mamma? E che ora scorrazza come un furetto iperattivo in un luogo incantato, nel monastero ucraino di San Theodor, affacciato sul lago di Castel Gandolfo.

Con lui il fratellino e altri ospiti del convento, in tutto 52 tra donne e bambini. Una grande famiglia voluta da padre Orest Kokaz che ha aperto il complesso ai rifugiati di guerra: una trasformazione netta, da luogo frequentato da pochi monaci e studiosi a riparo accogliente e confusionario di donne e bambini.

Che si occupano di tutti indistintamente, in particolare di Nikita e Elias i due bambini rimasti orfani della mamma, Natalia Kretova, 45 anni, la donna che dopo oltre 30 ore di viaggio per portarli in salvo si è accasciata a terra scesa dal pullman in piazzale 12 Ottobre 1492 a Roma. Li ha protetti fino all’arrivo, poi il suo cuore non ha retto, una fitta, i dolori sempre più forti al petto, inutili i tentativi di soccorso davanti a quei due bambini di 10 e 11 anni che urlavano disperati, salvi dalla guerra, ma rimasti soli. Con loro c’era anche una suora che aveva conosciuto la madre e che li ha portati al Monastero. «Siamo una grande famiglia», dice “padre Oreste” come viene chiamato qui, di poche parole, in suo aiuto c’è la sorella Lesya Vusk («vivo al nord con la mia famiglia, ma quando mio fratello mi ha detto: io apro il convento a tutti, sono corsa a dare una mano»).

Foto di Luciano Sciurba


Come stanno i due fratellini? In un limbo, dice chi li frequenta, hanno visto tutto, per quanto inconsapevoli, sentono la mancanza della mamma, all’inizio chiedevano ora non più. «Abbiamo rintracciato il papà, stanno molto a parlare con lui, non vedono l’ora di vederlo, lo stiamo aiutando con il passaporto. Hanno un nonno soltanto». E il piglio della loro terra. Alla domanda di una donna: «Allora posso essere io la vostra nonna?», uno dei due ha risposto «devo chiedere a nonno». 


SALTI E SCALATE
Si aggirano per il monastero con altri bambini e amano scalare, arrampicarsi e saltare ovunque. Don Oreste dagli occhi chiari e buoni, gli ha dato il permesso di fare tutto quello che vogliono: chi va dentro una cisterna, chi si attacca a una palizzata, chi apre il tubo dell’acqua, chi tira calci al pallone, chi si aggira con un bastone, un cellulare, una pistola di plastica. «Le mamme si occupano di loro, chi pensa a farli mangiare, chi a svestirli, chi a metterli a letto - spiega Lesya - e io ogni mattina dò un bacio a tutti».

La mattina seguono le lezioni a distanza collegati con gli insegnanti in Ucraina. Sono i figli, i nipoti e i fratelli di tutti in questo monastero di fronte al placido lago in cui tutto è cambiato. Stufe, uccellini, cani arrivati anche loro dalla guerra, giocattoli accatastati, casse di mele, altalene montate in tempi record, baci al mattino, ovunque per terra giochi e scritte come “peace” e “noi siamo ucraini” nella loro lingua. «Un grazie enorme per l’aiuto a tutto il popolo italiano», si guarda intorno e dice Lesya.


I fratellini non stanno molto fermi, il monastero offre anfratti e pertugi da scoprire. Ti dicono «ciao» e ti lanciano la palla, hanno voglia di giocare ma nessuno ride davvero, se provi a provocarlo uno dei due per scherzare fa il gesto di spararti. Provano a presentarsi buttando là un timido «Kremenchuck», essì è vero è la loro città. Da lì, centro industriale a est di Kiev, sul fiume Dnipro, sono scappati terrorizzati con la mamma quando la donna ha realizzato che la guerra stava avvicinandosi troppo. Avevano raggiunto Leopoli, con pochi sacchi, le medicine di lei, e da lì sul pullman verso Roma. Una lunga corsa lontano dalla guerra, dagli affetti, dalle loro abitudini. Stretti alla mamma, fino alla fine. Ci sono bambini che si rabbuiano e guardano il lago, altri che aspettano il pranzo un po’ spaesati. Loro hanno occhi vispi, vivaci a tratti sfuggenti, la tristezza la nascondono fissando un cellulare o facendo un gran baccano. Non si perdono mai di vista. E quanto sono belli, potesse vederli Natalia.
 

Ultimo aggiornamento: 28 Marzo, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA