Trivulzio, l'accusa dei dipendenti alla dirigenza: «Ci hanno lasciato soli contro il virus»

Venerdì 17 Aprile 2020 di Claudia Guasco
Trivulzio, l'accusa dei dipendenti alla dirigenza: «Ci hanno lasciato soli contro il virus»
MILANO «Siamo stati lasciati completamente soli. Senza direttive che prevedessero protocolli aziendali diagnostico terapeutici, univoche indicazioni sul trattamento dell'epidemia e delle norme di isolamento. Senza la possibilità di fare tamponi, senza dispositivi di protezione individuali fino a marzo inoltrato». E' una lettera di denuncia, quella alla quale appongono le loro firme medici, infermieri e personale amministrativo del Pio Albergo Trivulzio. Qui sono morti 178 anziani, numero purtroppo sempre in aggiornamento, dottori e operatori sanitari si sono trovati a combattere a mani nude contro un virus che, ufficialmente, non è mai entrato alla Baggina.

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NESSUN REPARTO COVID
«Abbiamo ricevuto direttive che impedivano l'invio in urgenza tramite 112 dei pazienti più gravi in pronto soccorso, sostenendo che le cure prestate presso il nostro istituto fossero migliori, oltre che maggiormente dignitose rispetto a quelle prestate in pronto soccorso», scrivono i medici. Inoltre, «nonostante numerose sollecitazioni alla direzione dell'istituto, non sono stati costituiti reparti Covid dove isolare i pazienti sospetti, tutelati esclusivamente da personale dedicato. A tutt'oggi il personale viene spostato da un reparto all'altro, senza verificare la negatività al tampone, esponendo quindi al contagio ulteriore personale sanitario e pazienti». Eppure medici e operatori non si sono tirati indietro. «Abbiamo profuso tutta la nostra energia e professionalità senza alcun risparmio, spesso osservando turni di lavoro massacranti, ma continuando a fornire tutta l'assistenza necessaria ai pazienti attraverso le terapie di supporto disponibili e isolando ogni caso clinico sospetto nei limiti del possibile (in assenza dei tamponi), per offrire la miglior cura. Abbiamo inoltre continuato a intrattenere le relazioni con le famiglie di tutti i pazienti, in particolare quelli critici e quelli isolati in osservazione, cercando di fornire loro la comunicazione più chiara e trasparente possibile, nonostante il clima aziendale interno non fosse dei più favorevoli». Il maggior rammarico, dicono i medici, «è legato al fatto che nonostante la nostra abnegazione e dedizione, pur in condizioni così difficili, non siamo riusciti ad arginare la diffusione del virus e a evitare le infauste conseguenze».

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E si muovono anche i familiari degli anziani della Baggina, che hanno creato il Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio. Nella Rsa c'è «un agghiacciante quadro di malasanità», afferma Alessandro Azzoni, con una mamma di 76 anni malata di Alzheimer ricoverata da due anni nel reparto Fornari. «Qui si sta assistendo alla cronaca di una serie di morti annunciate». La pandemia è arrivata da un mese e mezzo, dice, «e quindi non può più essere considerata un'emergenza: i dirigenti lo sanno quello che sta succedendo. A una signora ieri hanno detto che l'ospite di fianco a sua nonna ha i sintomi del Covid ma non la spostano, la lasciano lì e così la condannano a morte. Ho dovuto litigare per far fare una flebo a mia madre, era nel letto senza parlare, non sapevano da quanto non mangia, probabilmente da almeno una settimana, ha una saturazione che richiederebbe una maschera d'ossigeno ma non gliela mettono».

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NESSUNO DECIDE
Di fatto, sostiene Azzoni, «il Trivulzio non ha più dirigenza, ci sono mille e più ospiti che riescono ad andare avanti solo e semplicemente grazie al lavoro del personale medico e infermieristico che sta dando tutto. Ma non vengono fatte scelte e nel reparto di mia madre dove ci sono venti persone, ne sono morte già sei la settimana scorsa».
 
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