Torino, architetto ucciso in casa: dubbi sul furto finito male. La pista della vendetta

Sabato 12 Giugno 2021 di Giacomo Nicola
Torino, architetto ucciso in casa: dubbi sul furto finito male. La pista della vendetta

La storia di un furto finito male non convince gli inquirenti. A uccidere l'architetto Roberto Mottura nella sua casa fuori Torino potrebbe essere stato qualcuno che ce l'aveva con lui. Magari non lo voleva morto, ma intendeva comunque lanciargli un avvertimento. Il movente? Alcune indiscrezioni investigative puntano su dei soldi che il professionista potrebbe aver prestato in passato.
Tutte ipotesi da verificare su cui ora gli inquirenti stanno lavorando.

I carabinieri stanno setacciando i conti correnti, passando al vaglio le sue ultime telefonate. Ogni contatto viene analizzato scrupolosamente. Al tempo stesso hanno mappato le celle telefoniche che hanno agganciato la zona della villetta quella notte. Uno per uno vengono controllati i nominativi che corrispondono ai contatti registrati.

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I FILMATI DELLE TELECAMERE
Poi i militari dell'Arma hanno sequestrato tutti i filmati delle telecamere di zona nella speranza che abbiano ripreso i due malviventi prima o dopo l'omicidio. La macchina utilizzata per la fuga è un'Audi A3 blu, vecchio modello.
L'autopsia eseguita ieri mattina dal medico legale Roberto Testi ha ricostruito le cause della morte: un solo colpo, calibro 22, che gli ha reciso l'arteria femorale. Anche se i medici del 118 non avessero pensato a un malore, come aveva riferito la moglie della vittima, e non avessero perso 40 minuti nel tentativo di rianimarlo, difficilmente Mottura si sarebbe salvato. Sul suo corpo c'erano due segni: uno all'altezza del ginocchio, compatibile con la caduta dopo lo sparo, un altro all'altezza del torace. Nessuna traccia invece sotto le unghie. L'architetto potrebbe aver avuto una colluttazione con uno dei malviventi, mentre a sparare sarebbe stato l'altro, a una distanza compatibile tra i 20 centimetri e un metro.
Poi c'è la ricostruzione dei fatti resa dalla moglie Laura Mai, anche lei architetto, che quella notte si trovava in casa con il figlioletto adolescente Tommaso. Intorno alle 4 di mercoledì mattina due uomini sono entrati nella villa. I ladri hanno forzato una persiana al primo piano e sfondato il vetro con una mazzetta, facendo scattare il sistema d'allarme. Mottura, che dormiva con la moglie al piano superiore, ha sentito l'antifurto. La moglie però era già scesa. «Quando è suonato l'allarme sono andata giù a controllare. C'erano due uomini incappucciati in cucina. Erano molto aggressivi. Mi hanno detto Torna su, vattene via. Stai zitta. Ero terrorizzata». Ha obbedito. «Sono risalita e Roberto è sceso di corsa». La situazione è precipitata in un attimo. Uno dei due ha esploso un colpo di pistola che ha raggiunto l'architetto. I ladri sono fuggiti e quando la moglie ha trovato il marito per terra, ha pensato si trattasse di un malore.
Roberto e Laura si erano conosciuti molti anni fa, nei corridoi della facoltà di architettura di Torino, all'ombra del castello del Valentino. Lei era la studentessa più carina dell'università e Rube, come lo chiamavano i suoi compagni di corso, aveva fatto colpo con il suo fisico atletico e il suo animo gentile. Una volta scoccata la scintilla non si sono più lasciati. Dopo il matrimonio sono andati a vivere nella grande villa di famiglia, sulla collina di Piossasco, dove Roberto Mottura era cresciuto. Troppo isolata per Laura che, dopo la nascita del figlio Tommaso, ha cominciato a desiderare una nuova casa. Per lei, abituata ai rumori della città, quel piccolo angolo di paradiso nel verde era troppo «lontano» dal resto del mondo.
Neppure le telecamere e la porta blindata la facevano stare tranquilla e così, dopo 8 anni di convivenza con i suoceri, hanno deciso di traslocare. Ma si sono spostati soltanto di poche centinaia di metri più a valle, in un elegante complesso residenziale nella stessa strada. Quello, del resto, era il mondo di Roberto, architetto con la passione per lo sci e per il ciclismo. Sua madre era nata e cresciuta su quella collina, dove il padre Attilio aveva realizzato la grande villa agli inizi degli anni Novanta. «Io sono figlio di un carrozziere e ho fatto il carrozziere per una vita, ma non ho voluto che mio figlio seguisse la mia strada racconta adesso il padre fra le lacrime . Volevo tenere Roberto lontano da certe persone, ma adesso nessuno potrà mai ridarmelo. Lui era troppo buono, un gigante dal cuore d'oro. Viveva per la sua famiglia e per il lavoro».

Ultimo aggiornamento: 15:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA