Niente trasfusione, morta testimone di Geova. La famiglia: «Hai dato una lezione ai medici»

Domenica 29 Settembre 2019 di Marilù Musto
Niente trasfusione, morta testimone di Geova. La famiglia: «Hai dato una lezione ai medici»

Niente noiose spiegazioni sugli enzimi, trasfusioni e cellule. Perché nella sua vita gli era apparso Geova per rivelarle certi misteri. E così, una donna di 70 anni si è lasciata morire dissanguata. Ieri si sono svolti i funerali. La religione ha superato l'etica. E si scatena il dibattito sulla volontà del paziente contro l'obbligo dei medici. Al centro, c'è il confine labile fra la vita e la morte. «No, non voglio trasfusioni», aveva detto la donna al primario del reparto di Chirurgia Generale. Ma vedendo che il medico non si capacitava, che indugiava e si arrabbiava per la decisione presa dalla paziente, era intervenuto un parente al capezzale: «Mia madre ha deciso così». Punto e basta. La frase del figlio della donna è stata fondamentale perché ha fondato la complicità esplicita in famiglia. Niente da fare. La donna ricoverata all'ospedale di Piedimonte Matese, testimone di Geova, è deceduta due giorni fa per emorragia dovuta a una gastrite che si sarebbe potuta curare con semplici trasfusioni.

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IL RAMMARICO
«Si poteva salvare, certo», commenta ora il medico che l'ha tenuta in cura, il primario Gianfausto Iarrobino. «E adesso sono triste - racconta il primario - ma anche arrabbiato nero. L'avrei salvata al cento per cento, ma ha rifiutato ed è morta. I figli e i parenti solidali con lei. Ho fatto di tutto. Mi sono scontrato con tutti i familiari, ma nulla. Alla fine i figli sembra si siano esaltati dicendo: mamma hai dato una lezione a tutti i medici e a tutto il reparto. Mi chiedo, come può una religione ancora oggi permettere un suicidio? Come è possibile che io deputato per giuramento a salvare le vite umane, sia stato costretto a presenziare e garantire un suicidio assistito?». Domande che il camice bianco si è posto scrivendo un racconto su Facebook, evitando di dare troppe indicazioni per questioni di privacy.

LA TRAFILA
La donna era giunta in ospedale sei giorni fa con forti dolori addominali. «Gastrite sanguinante» era stato il responso dei medici. Si doveva agire in fretta: trasfusioni una dietro l'altra e si sarebbe rimessa in sesto. Ma all'improvviso è venuta a galla la storia della religione e della necessità, imposta, di star fermi. Per forza: «Non si può obbligare il paziente, in questi casi. Lei era lucida e ha firmato la cartella clinica chiedendo di non volere trasfusioni». Si sono susseguiti giorni in cui il sangue continuava a uscire senza che si potesse far nulla. Quattro giorni così e alla fine se n'è andata. «Io sono obiettore di coscienza - ha concluso il medico - una cosa del genere mia ha sconvolto dal punto di vista professionale e umano». Stando ad alcune voci di corridoio dell'ospedale, alcuni parenti avrebbero anche dichiarato che la congiunta avrebbe mostrato di essere «una grande».

Una storia, quella di Pedimonte Matese, che ha sconvolto la comunità matesina, a una settimana di distanza dal caso della bambina di Legnano di appena 10 mesi operata d'urgenza e alla quale i genitori volevano evitare la trasfusione post-operatoria. La procura dei minorenni aveva sospeso la podestà genitoriale. Per fortuna non è stata poi necessaria la trasfusione. Ma a Piedimonte Matese non era necessario far nulla: la paziente aveva scelto ed era consapevole. Resta il malincuore dei medici dell'ospedale di Piedimonte Matese per quella donna che ha deciso volontariamente di lasciarsi andare. In nome di una religione.

LA REPLICA DEI FAMILIARI
Gentile redazione,

siamo i tre figli della signora che sarebbe deceduta per aver rifiutato una trasfusione. Amavamo molto nostra madre e l'abbiamo sempre ammirata per la sua fede e il suo coraggio, oltre che per l’amore che aveva per la vita. Anche per rispetto nei suoi confronti ci sentiamo obbligati a fare le seguenti precisazioni.
 
Come testimoni di Geova amiamo moltissimo la vita. Quando nostra madre si è sentita male l’abbiamo portata subito in ospedale perché venisse curata nel modo migliore possibile. Abbiamo anche rispettato la sua decisione di non ricevere trasfusioni di sangue, consapevoli che esistono strategie mediche alternative che funzionano molto bene, anche in casi delicati. Non abbiamo  'sfidato la scienza’.
 
Purtroppo, quando nostra madre ha chiesto ai medici di curarla con ogni terapia possibile tranne che col sangue i medici non le hanno somministrato prontamente farmaci che innalzassero i valori dell’emoglobina. Lo hanno fatto solo due giorni dopo dietro nostra insistenza. Non hanno nemmeno fatto indagini strumentali (tranne una gastroscopia a distanza di 12 ore dal ricovero) che permettessero di trovare il luogo esatto dell’emorragia così da fermarla il prima possibile. Si sono limitati a chiedere insistentemente di praticare l’emotrasfusione. Ma a cosa sarebbe servita se il problema di fondo era la perdita di sangue? Intanto le condizioni di nostra madre peggioravano inesorabilmente. Dal momento che non era in grado di sostenere un trasferimento in un altro ospedale, abbiamo fatto in modo che i medici locali ricevessero materiale scientifico su efficaci strategie alternative alle emotrasfusioni. Tali indicazioni però sono state recepite solo parzialmente e quando ormai era troppo tardi.
 
Capiamo la frustrazione del primario, tuttavia non accettiamo le sue affermazioni. Dire che noi figli ci saremmo “esaltati” e che avremmo accolto la morte di nostra madre “quasi con gioia” è una grave diffamazione.  Non si può paragonare la morte di nostra madre a un “suicidio assistito”.
 
Ci auguriamo che questa triste vicenda faccia riflettere la direzione ospedaliera così che nessun paziente in futuro debba subire un trattamento simile a quello riservato a nostra madre. Quanto a noi, ci riserviamo ogni valutazione su possibili future azioni legali.





 

Ultimo aggiornamento: 18:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA