Fine vita, malato di Sla scrive a Papa Francesco: «Talvolta morire è l'unica scelta»

Giovedì 26 Settembre 2019
Fine vita, malato di Sla scrive a Papa Francesco: quando non puoi nemmeno urlare per il dolore morire è l'unica scelta

Una vita spesa per combattere. Ora il suo appello, disperato, è arrivato anche al Vaticano. «Ho riflettuto sulle parole di Papa Francesco e da cattolico praticante penso che l'eutanasia o il suicidio assistito non sia una via di comodo, ma è l'unica scelta». Gianfranco Bastianello, 63 anni e malato di Sla dall'età di 14, ha scritto una lettera aperta al Santo Padre sottolineando che «quando il dolore fisico ti fa urlare ma non puoi perchè non hai voce e il dolore resta facendoti impazzire. Caro Papa Francesco allora comprendi che c'è un'unica via d'uscita, andartene».

LEGGI ANCHE Fine vita, cosa prevedono le leggi degli altri Paesi europei

Bastianello, del Cavallino (Venezia), è impegnato da sempre con i disabili e il muoversi in carrozzina da 10 anni non lo limita nelle battaglie. Ha voluto rivolgersi al Papa per parlargli «delle conseguenze della sofferenza perchè la conosco molto da vicino». «L'eutanasia o suicidio assistito», scrive, «non sono soluzioni di comodo o sbrigative. Te lo assicuro». «Il diritto di vita o di morte lo ha solo Dio?. Ma Dio», continua, «oltre il sopportabile non lo può permettere. La vita è sacra? Ma che sacralità c'è in questa sofferenza sempre non voluta e cercata? Nulla di sbrigativo e di comodo, ma solo il momento di scegliere, l'unica scelta».

LEGGI ANCHE Fine vita, vescovi all'attacco: «Garantire ai medici l'obiezione»

Gianfranco dice di «non aver fiducia nei politici: la loro discussione lascia il tempo che trova». Rassegnato, ma pieno di energie nello spronare gli altri che hanno una forte disabilità a continuare a vivere e a lottare, ammette di «combattere per rovesciare lo stato delle cose: ma è una battaglia persa». «L'eutanasia», spiega nel suo accorato appello, «non la chiede un malato perchè è
depresso, ma perchè non ce la fa più. Centinaia nella mia stessa situazione, hanno la medesima idea. Chi vive sulla propria pelle la malattia lo può comprendere». Gianfranco, da quando è in
pensione, si dedica agli altri, dalle 8 del mattino a tarda sera. Gli è al suo fianco la moglie «che ha rinunciato a tutto».

LEGGI ANCHE Suicidio assistito, sì della Consulta. I medici: «Serve un pubblico ufficiale»

E per portare avanti la sua battaglia, ha deciso di dirigere una sorta di telefono amico «per le emergenze di carattere sociale, per consulenze; faccio da tramite per dare voce a coloro che non sanno come muoversi». Promuove raccolte fondi per garantire la riabilitazione a casa di malati che non hanno possibilità economiche. «Già», dice, «chi ha le risorse va avanti, gli altri...Ci si sente umiliati a chiedere sempre l'elemosina. Le strutture sanitarie arrivano fin lì per vari motivi, a partire dai tagli di spesa. Quando ad un malato, per esempio, danno una cannula al mese quando gliene occorrono 3/4 si capisce come viene tenuto in considerazione. Le strutture pubbliche», osserva, «ti fanno comprendere che non essendo produttivo non ti spettano certi servizi e quello che ti viene dato è già troppo. Per certe strutture siamo un peso. Sono pessimista, ma non mollo. Continuo nel mio impegno perchè c'è chi sta peggio di me».

LEGGI ANCHE Dj Fabo, morto in Svizzera per eutanasia

Ultimo aggiornamento: 19:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA