Sana Cheema, cresciuta a Brescia e morta in Pakistan: la procura indaga padre, zio e fratello

Martedì 5 Marzo 2019
Sana Cheema, cresciuta a Brescia e morta in Pakistan: la procura indaga padre, zio e fratello
MILANO L’obiettivo è quello di scrivere un finale diverso rispetto alla giustizia pakistana. Per questo motivo il procuratore generale di Brescia Pierluigi Dell’Osso ha avocato a sé l’inchiesta sulla morte di Sana Cheema, la ventiquattrenne italo pakistana cresciuta a Brescia e morta nel suo Paese d’origine lo scorso aprile dopo aver rifiutato le nozze combinate. È stata sgozzata, ha stabilito l’autopsia eseguita in Pakistan dopo che il corpo, seppellito in tutta fretta, venne riesumato.

PARENTI SCAGIONATI
Sul dramma che coinvolge Sana e il padre Mustafa Ghulam, entrambi cittadini italiani, rischiava di calare il buio dopo l’assoluzione di massa da parte della Session court di Gujrat nei confronti degli undici imputati - tra cui il papà, il fratello maggiore, la madre, lo zio e altri parenti della ragazza - alla sbarra per omicidio e occultamento di cadavere. «Insufficienza di prove» hanno decretato i giudici pakistani. «Nessuna testimonianza a carico dei presunti assassini», «movente non dimostrato», la conclusione. La procura ordinaria di Brescia aveva aperto un fascicolo senza ipotesi di reato e contro ignoti. Ora il quadro cambia. Nel registro degli indagati il procuratore generale ha iscritto il padre, lo zio e il fratello della giovane. Gli stessi principali imputati finiti a processo davanti al tribunale di Gujarat e assolti poche settimane fa per mancanza di prove. E come loro sono stati scagionati altri otto parenti di Sana, tra cui la madre.

STRANGOLAMENTO
Gli inquirenti ascolteranno gli amici bresciani della giovane, che viveva nel quartiere Fiumicello dove aveva aperto anche un’agenzia per pratiche automobilistiche. Sarà inoltre sentito il ragazzo, anche lui italiano di seconda generazione, che aveva una relazione con Sana: per lui la giovane ha rifiutato il matrimonio combinato dalla famiglia. Gli amici bresciani, primi a denunciare il caso, non hanno mai creduto alla versione sostenuta dalla famiglia, quella della morte naturale. L’autopsia eseguita sulla povera Sana, il cui corpo è stato riesumato sulla scorta della forte pressione dell’opinione pubblica, evidenzia uno strangolamento. Un risultato messo in dubbio da una consulenza della difesa e valorizzata dalla corte pakistana. I due presunti esecutori materiali, Mustafa e il figlio Adnan, accusato di avere immobilizzato la sorella nella casa di famiglia, inizialmente avevano confessato, salvo poi ritrattare.

PERSEGUIBILITA’
«Siamo in presenza di un femminicidio: Sana è stata uccisa in quanto donna, violata nel suo diritto di autodeterminarsi», afferma il capo della procura Dell’Osso.
Il magistrato, che si occuperà personalmente delle indagini preliminari, ha acquisito le motivazioni della sentenza di assoluzione e l’intero fascicolo con la perizia necroscopica, ravvisando «elementi interessanti». La magistratura bresciana vuol tentare tutto il possibile per fare luce sulla morte di Sana, nonostante il problema della procedibilità nei confronti degli indagati dato che non sono sul territorio nazionale. Un ostacolo che potrebbe essere superato facendo rientrare il fascicolo nella fattispecie del delitto politico interpretato in chiave estensiva. L’omicidio di Sana, infatti, in base alla legislazione internazionale, potrebbe aver violato una libertà costituzionalmente garantita, come il diritto di culto o il diritto di matrimonio. Se così fosse, per perseguire i colpevoli basterebbe solo il via libera del Guardasigilli.
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