Ancora molti dubbi da chiarire nella vicenda del neonato morto nella notte tra il 7 e l'8 gennaio nel reparto di Ginecologia dell'ospedale Pertini di Roma.
Sulla vicenda riceviamo e pubblichiamo la lettera di una mamma, Carola Parisi
«Un neonato muore soffocato tra le braccia della mamma che lo stava allattando. Questa notizia fa molto male. Forse perché questa donna potevo essere io. Eh già perché la protagonista di questa terribile vicenda poteva essere ognuna di noi. Di noi donne e mamme. Anche a me è successo di dovermi prendere cura di mia figlia dopo 17 ore di sala parto, un’emorragia imprevista e undici punti interni.
All’una di notte, appena arrivata in reparto, ero sola, distrutta e stremata. Non mi reggevo letteralmente in piedi. Eppure, è arrivata Sofia in una culletta con le rotelle, di cui ricordo perfettamente il cigolio, insieme ad un’infermiera che mi avrà detto a malapena dieci frasi. Una sinfonia di “deve”: deve cambiarla, deve attaccarla subito al seno, deve tenerla così, deve controllare questo e quello.
Quella sensazione di smarrimento, confusione, inadeguatezza, non la dimenticherò mai. Quella sensazione di non essere all’altezza è devastante. Diventare madre è allo stesso tempo dolcezza e brutalità. E la stanchezza fisica e mentale gioca un ruolo fondamentale.
Doveva essere il momento più bello della mia vita e invece lo ricordo come uno dei più difficili in cui ho dovuto lottare per guadagnarmi il lieto fine della mia storia.
Comunque, fino alla mattina successiva, nessuno mi chiese se avessi bisogno di aiuto. Infermiere ed ostetrice camminavano per il corridoio come se tutti noi lì distrutte dalla fatica, fossimo invisibili e forse invincibili secondo loro. Una madre può tutto, si dice. E invece no, non è così.
Ora la magistratura chiarirà la dinamica dei fatti e le eventuali responsabilità, ma è bene che si dica chiaramente: anche questa è un’inaccettabile violenza sulle donne».