Rigopiano, il giudice sequestra lo stipendio dell'ex prefetto di Pescara sotto accusa per depistaggio

Sabato 31 Ottobre 2020
Rigopiano, il giudice sequestra lo stipendio dell'ex prefetto di Pescara sotto accusa per depistaggio

Non hanno case e beni al sole, a differenza degli altri imputati per la strage del resort già chiamati a garantire con il loro patrimonio le parti civili del processo Rigopiano.

E cosi, su ordine del giudice delle udienze preliminari Gianluca Sarandrea, è scattato ieri il sequestro del quinto dello stipendio per l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo e il dirigente della Regione Abruzzo Sabatino Belmaggio. Un altro ex dirigente regionale, Carlo Visca, garantirà con una quota della sua pensione. Denaro che si somma a case e terreni già sequestrati agli altri 26 imputati in attesa della decisione sul rinvio a giudizio per i morti e per le lezioni dei sopravvissuti dell'hotel distrutto dalla valanga del 18 gennaio 2017: un valore teorico di tre milioni di euro, circa un decimo dei risarcimenti civili ipotizzabili in caso di condanne per il disastro e gli omicidi colposi, con il corollario di reati minori e depistaggi, contestati a vertici della prefettura pescarese dell'epoca, sindaco di Farindola, amministratori locali e dirigenti pubblici.

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Un punto finale, per il quale si battono senza sosta i familiari delle vittime e i superstiti, che torna nuovamente ad allontanarsi dopo l'udienza di ieri. Incombe il Covid su un processo che a ogni udienza raduna almeno 250 persone fra imputati, parti civili, avvocati e consulenti vari. Troppi anche per le quattro maxi aule messe a disposizione dal presidente del tribunale pescarese. Troppo alti i rischi ai quali si espongono, ogni volta, avvocati e parti civili che arrivano da altre regioni. Dunque, è la decisione del gup, a novembre niente udienze: se ne riparlerà a partire dall'undici dicembre, salvo peggioramento della curva dei contagi, con la promessa di accelerare i tempi in futuro per giungere, dopo il quarto anniversario della tragedia, almeno ai rinvii a giudizio.
Un assaggio del clima che accompagnerà il difficile cammino della giustizia si è avuto comunque ieri, con il primo scontro accusa-difesa sulla deposizione del colonnello dei carabinieri forestali Annamaria Angelozzi, tra i principali investigatori sulla tragedia, e soprattutto sull'utilizzabilità di una serie di intercettazioni telefoniche in corso in quei giorni da parte della Distrettuale dell'Aquila, impegnata a indagare su un filone di malaffare in Regione Abruzzo. Sono le famose telefonate della vergogna in cui si afferma, fra l'altro, che «quelli del Rigopiano non devono rompere»; conversazioni che svelarono il caos che regnava in quei giorni nella gestione delle turbine, con mezzo Abruzzo sepolto dalla neve e scosso, proprio il 17 gennaio, da una violenta sequenza sismica.
Un gigantrsco affresco di inadeguatezze e cinismi. Ma con valore di prova, le telefonate non entreranno nel processo Rigopiano perché la loro utilizzabilità in casi diversi da quelli per le quali sono state autorizzate è ammessa soltanto per reati che prevedono l'arresto in flagranza. Non è il caso di Rigopiano, malgrado le spaventose conseguenze di superficialità, imprudenze e omissioni contestate ai 30 imputati.


L'INTERROGATORIO
Tutta in punta di diritto la battaglia per l'interrogatorio del colonnello Angelozzi, a sua volta indagata e archiviata per la gestione delle indagini e lo scontro con i colleghi della polizia di Stato che ha portato al tentato suicidio dell'ex dirigente della squadra mobile di Pescara Pierfrancesco Muriana. La richiesta di incidente probatorio, avanzata dai difensori del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, ha incontrato il no della Procura, che ha in calendario la deposizione dell'investigatrice il 5 novembre. Lo scontro verbale che ne è seguito ha comportato la sospensione dell'udienza per alcuni minuti. Per lo sconcerto dei familiari delle vittime da quasi quattro anni in attesa di giustizia.
 

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