Virus: dati in ritardo, caos Regioni. Il rischio è riaprire al buio

Venerdì 15 Maggio 2020 di Simone Canettieri e Rosario Dimito
Virus: dati in ritardo, caos Regioni. Il rischio è riaprire al buio

C’è un rischio che il governo non aveva calcolato: la riapertura al buio del Paese a partire da lunedì 18. L’ormai famoso algoritmo che decreta quali territori sono a rischio Covid-19 e possono essere condannati a tornare al lockdown più rigoroso, non può essere applicato perché le Regioni non hanno ancora comunicato tutti i dati necessari a misurare l’andamento dell’epidemia. Sulla base di quelle analisi, si deve anche decidere come e quali attività autorizzare, se far ripartire negozi, ristoranti e spostamenti, ma mancano i dati. E così non possono essere stilate le cosiddette “pagelle” che il ministero della Salute deve elaborare sulla base di 21 indicatori che erano stati minuziosamente elencati nel decreto di Speranza. 
Eppure, allo stesso tempo il governo ha già annunciato che da lunedì potranno tornare a tirare su le saracinesche bar e ristoranti, parrucchiere e barbieri, commercio al dettaglio e stabilimenti balneari. Un caos che Palazzo Chigi non aveva previsto e che sta mettendo in fibrillazione l’esecutivo. Non a caso la consueta conferenza stampa del venerdì dell’Istituto superiore di sanità oggi è stata cancellata. Perché? Non ci sono i parametri di rischio divisi per territori.

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A chi vada attribuita l’origine di questo caos è stato scritto in una lettera - visionata da Il Messaggero - firmata da Roberto Speranza e Francesco Boccia. «Ci sono - scrivono i ministri della Salute e degli Affari regionali - segnali di criticità nella disponibilità dei dati che misurano la dimensione della resilienza dei servizi sanitari preposti nel caso di una recrudescenza dell’epidemia Covid-19 che nella settimana corrente non risulta completamente valutabile, stante la difficoltà nel circuito informativo tra il livello centrale, le Regioni e le province autonome». 

In poche parole: molti governatori ieri sera non avevano ancora inviato il piano sanitario del loro territorio nel caso la curva del virus dovesse salire. L’altro giorno un dirigente del Ministero della Salute spiegava: «I 21 indicatori sono impegnativi perché le Regioni devono garantire flussi quotidiani, non sempre facilmente ottenibili dai dipartimenti di prevenzione». A volte manca proprio la piattaforma informatica che elabori questi dati. 

Ecco perché a tre giorni dal grande ritorno alla vita (quasi) normale dell’Italia - dal punto di vista della mobilità e del commercio - ancora manca lo schema del governo con le annunciate differenze territoriali in base ai requisiti richiesti. La lettera è stata inviata a Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, in qualità di presidente della Conferenza Stato-Regioni. Con tanto di raccomandazione da trasmettere ai colleghi governatori di «porre in essere ogni opportuna azione per completare con sollecitudine l’implementazione dei dati come richiesti». 
Le Regioni inadempienti ieri sera erano diverse: dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Campania e la Calabria. Senza questo materiale teoricamente il governo non può autorizzare le riaperture di lunedì, nonostante le abbia annunciate. Si rischia dunque da una parte un debutto al buio (pericoloso) e dall’altra la reazione di tutti i comparti che sono già proiettati su lunedì. Ma c’è di più: i 21 indicatori rappresentano un sistema di allarme che scatta se qualche regione vede ripartire l’epidemia e dunque diventa necessario il lockdown in quel territorio. 

Bisogna mantenere alta la guardia perché se si consulta il tabellone della Protezione civile diramato ieri, ci sono indicatori che segnalano come l’effetto dei primi giorni della Fase 2 non si ancora chiaro: si è tornati a quasi mille contagi (992) di cui la metà in Lombardia. Segnali che dovrebbero spingere il governo alle «aperture differenziate in base all’algoritmo che predisporremo giovedì per mettere così i governatori in condizione di decidere cosa e come aprire», avevano detto nei giorni scorsi da Palazzo Chigi. Ma manca appunto la possibilità di attuare la verifica, perché una parte di dati ritenuta «fondamentale» non è stata ancora inviata a Roma. In serata molte Regioni si sono regolarizzate, ma la pagella ancora non c’è. 

Partenza alla cieca quindi e il Comitato tecnico scientifico (Cts) ne ha preso atto ieri durante la quotidiana riunione. Ormai la macchina delle riaperture, spiegano gli scienziati, di fatto è già partita e non può essere fermata, pena una sollevazione popolare. Pertanto essi non hanno sollevato eccezioni al governo che deciderà nel week end le modalità del secondo giro di riaperture. Ma gli uomini del Cts non intendono abdicare al loro ruolo di vigilanti della situazione sanitaria, come hanno fatto finora. La curva del contagio sta risalendo, non in maniera omogenea ma a macchia di leopardo e ieri sera, durante le conversazioni, più d’uno avrebbe segnalato un nuovo focolaio di rischio nel Molise. Ci sarà quindi un monitoraggio costante che continuerà nelle prossime due settimane, con una scadenza già individuata: giovedì 28 rispetto alle altre riaperture dell’1 giugno, tra le quali i probabili spostamenti tra regioni, attesi da tanti. Quel giorno il Cts e l’Iss faranno il “tagliando” come dicono, della situazione, con una ricognizione capillare sulle varie aree e zone. Questo significherà che se l’indice R0 dovesse risalire oltre il livello di sicurezza di 0,4-0,5, verrebbero richiuse solo le zone divenute nuovi focolai. Sempre ieri il Cts si sarebbe occupato dei centri estivi, visto che ci sono molte sollecitazioni ma avrebbero escluso di consigliare di riaprirli.
 

Ultimo aggiornamento: 14:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA