Morti in corsia, processo a una svolta: i giudici decidono sulla perizia per i 13 decessi contestati al dottor Cazzaniga

Domenica 5 Maggio 2019
Morti in corsia, processo a una svolta: i giudici decidono sulla perizia per i 13 decessi contestati al dottor Cazzaniga
MILANO Chi è davvero il dottor Leonardo Cazzaniga? Un demone sterminatore, sostiene l’accusa. Un medico pietoso, ribatte la difesa. Per ora l’ex aiuto primario del pronto soccorso di Saronno è sospeso nel limbo. È accusato dell’omicidio di tredici pazienti del suo reparto, morti - sostiene la procura - in seguito alla somministrazione di farmaci anestetici in dosi tali da provocarne l’arresto cardiaco. E anche della morte di tre familiari (il marito, la madre, il suocero) di Laura Taroni, infermiera nello stesso ospedale e ai tempi sua compagna. Ma ora il processo è arrivato a una svolta.
Dal 2011 al 2013, afferma l’accusa, gli amanti diabolici hanno seminato la morte. Lei è già stata condannata a trent’anni in abbreviato per la morte della madre e del marito, adesso il procedimento a carico del luminare delle anestesie è nella fase decisiva. Nell’udienza di domani infatti la Corte d’assiste di Busto Arsizio (Varese) deciderà se disporre o meno la perizia per accertare le cause della morte dei tredici pazienti del pronto soccorso di Saronno. Qualora i giudici accolgano l’istanza avanzata dall’avvocato Ennio Bufoli, legale di Cazzaniga, la procura di Busto Arsizio ha chiesto una proroga della custodia cautelare dell’imputato, in scadenza ad agosto, di altri sei mesi.
ARBITRO DEL DESTINO
Nel lungo dibattimento i consulenti dell’accusa e quelli della difesa si sono dati battaglia. Secondo la difesa Cazzaniga avrebbe agito solo per alleviare le sofferenze dei pazienti. «I consulenti dell’accusa hanno valutato, dai verbali di pronto soccorso, farmaci e quantitativi secondo parametri da anestesia», puntualizza Bufoli, «non da cure palliative», che è ciò che sostiene Cazzaniga. «Per questa ragione - prosegue l’avvocato - abbiamo chiesto alla corte che nomini dei periti che ci dicano se il nostro ragionamento è corretto oppure no». I periti, sempre che la corte lo ritenga necessario, dovranno stabilire se esista un rapporto di causa-effetto fra la condotta del medico e il decesso dei malati. Se i pazienti avevano una prospettiva di vita o erano giunti agli ultimi istanti, se l’intervento di Cazzaniga fosse volto a provocare la morte oppure no. Per il procuratore di Busto, Gian Luigi Fontana, «il dottor Cazzaniga decideva autonomamente, senza solide basi scientifiche, quanto e come una persona doveva sopravvivere. Si faceva arbitro della sua sorte».
IL PROTOCOLLO
Come? Attuando il cosiddetto «protocollo Cazzaniga», racconta un infermiere che ha deposto come teste nel processo. «Cazzaniga tendeva a usare il valium e il midazolam per aiutare le persone anche dal punto di vista respiratorio.
Non esistevano delle norme, interveniva con cure terapeutiche diverse a seconda dei pazienti che doveva curare. Con quei farmaci li accompagnava verso la morte. Si trattava di pazienti malati terminali: la finalità dei farmaci comunque era di arrivare alla morte. Lo applicava a persone che riteneva avessero poche aspettative di vita. Una volta avevo sentito di un caso in cui il protocollo era stato utilizzato in oncologia. Mi disse il collega che i parametri erano normali, ma poi il paziente era morto. La sua concezione era che per i pazienti con poche aspettative di vita era inutile effettuare terapie per allungarne l’esistenza, facendole soffrire di più».
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