Violenza, il criminologo che assiste chi ha commesso reati sessuali: «Curo gli uomini violenti per proteggere le donne»

Martedì 24 Novembre 2020 di Cristiana Mangani e Pietro Piovani
Violenza, il criminologo che assiste chi ha commesso reati sessuali: «Curo gli uomini violenti per proteggere le donne»

Proteggere le donne dalla violenza in famiglia, metterle in sicurezza, e poi lavorare per tentare di scardinare nell'uomo culture machiste o vecchi abusi. Se ne parlerà domani, alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne, nel webinar #oltreilmerito,Il ring delle idee di Elisa Greco. Tra i relatori Paolo Giulini, criminologo clinico che presiede il Cipm, Centro italiano promozione della mediazione, che negli ultimi 14 anni della sua attività ha incontrato centinaia di uomini condannati per reati sessuali e violenza di genere: carnefici che decidono di provare a guarire, che si affidano a esperti per capire da dove provenga la crudeltà e il possesso.
Dottor Giulini, questo tipo di uomini arrivano mai a pentirsi veramente?
«Non credo che sia il fattore principale aver ottenuto un cambiamento, quanto la capacità di impegnarsi e di riflettere sulle fragilità. Alla base di questi comportamenti c'è, quasi sempre, l'aspetto maschilista: un puntello delle negazioni della responsabilità. Si sentono un po' loro delle vittime. Ti dicono che i giudici credono a tutto quello che dicono le donne. Ho sentito molte volte pronunciare queste frasi durante il trattamento».
Per loro è sempre la donna, quindi, la responsabile di quanto le accade?
«In alcuni casi queste persone che maltrattano, abusano, uccidono, non notano di avere avuto comportamenti violenti. E infatti, la prima cosa da affrontare sono questi meccanismi difensivi di negazione che non hanno una matrice da cura, ma da trattamento criminologico».
In che modo il sistema penale viene in soccorso delle vittime?
«Negli ultimi anni è molto cambiato. Ora abbiamo un sistema penale che dà delle risposte efficaci rispetto a queste condotte. Si pensi agli atti persecutori che prima rappresentavano pure molestie, e invece dal 2009 sono puniti con una fattispecie specifica, e sono state anche elevate le pene. Il nostro compito è mettere a tutela le vittime, e per questo il problema è come riuscire a rendere efficace la pena. Dobbiamo prima di tutto evitare che queste persone la facciano franca rispetto alle loro condotte, e che una volta intercettate, non le ripetano».
Quanti di questi uomini tornano a maltrattare, ad abusare, a violentare?
«In Italia siamo alle prime armi, circa una quindicina di anni di lavoro. Ci sono paesi che invece fanno molto di più, in particolare quelli anglosassoni, e ci dicono che per quanto riguarda la violenza domestica, c'è una recidiva di queste persone del 40 per cento se non viene fatto un trattamento. Se viene fatto, le recidive sono del 35 per cento, ci sarebbe, quindi, un abbattimento del 5 per cento. Sembrano dati non incisivi, ma nella realtà sono, soltanto negli Stati Uniti, 40 mila vittime in meno».
E in Italia che accade?
«Non si può fare un ragionamento analogo perché non abbiamo ancora costituito delle banche dati. Nel Presidio criminologico territoriale, gestito dal comune di Milano, dove seguiamo persone che hanno percorsi di stalking, abuso sessuale, maltrattamenti, e altro, nel 2019 abbiamo avuto 117 nuovi utenti, complessivamente ne abbiamo 332. E solo uno di questi ha recidivato nel giro di un anno. Riguardo al reato di violenza sessuale, invece, abbiamo percorsi nel Centro che si trova all'interno del carcere di Bollate, di 317 persone trattate in quattordici anni, con undici recidive. È un dato molto drammatico, però è basso».
Come si raccontano questi uomini?
«Ci parlano della loro storia familiare e si scopre che c'è una relazione violenta nei rapporti parentali, e magari, che da bambini hanno assistito a violenze che poi hanno creato una distorsione nell'ambito della relazione con la loro partner. E in ultimo emerge anche la concezione della relazione con un assetto maschilista. Il trattamento è molto complesso perché devi prendere in carico tutti questi aspetti. Sono persone che si sentono sempre dalla parte della ragione, hanno dei deficit nelle relazioni di intimità, hanno timore di loro stessi nelle relazioni e quindi tendono a controllare, a non avere fiducia. Davanti a noi è come se tornassero a scuola, sembra di dover costruire con loro percorsi educativi nuovi».
Che persone sono?
«Non sono malati psichici: a volta abbiamo a che fare con persone che si presentano meglio delle loro vittime quando vanno a una testimonianza. Non è più l'analfabeta del borgo. Parlano forbito e sono capaci di manipolare l'interlocutore. Questo è molto trasversale, perché non mette la differenza su un piano economico, ma dipende da quella massa distorta culturale che la sorregge nell'aspetto maschilista. Facciamo molto fatica a destrutturare il loro impianto culturale».
 

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Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 21:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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