Strage di Bologna, la vittima 86 racconta un'altra verità a 40 anni dalla bomba

Sabato 1 Agosto 2020 di Carlo Nordio
Bologna, 2 agosto 1980: la bomba alla stazione causò 86 morti e 200 feriti
1
L’ordigno scoppiò all’interno della stazione di Bologna alle 10,25 del 2 agosto 1980. I morti furono 86, i mutilati e i feriti oltre duecento. Fu la più grave strage della nostra storia, e per fortuna anche l’ultima. Il recente libro di Piero A. Corsini, I terroristi della porta accanto, ricostruisce le indagini e i processi che ne sono seguiti, e in particolare quello a Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i due neofascisti ritenuti responsabili e condannati all’ergastolo.
L’Italia stava vivendo il più infausto periodo del dopoguerra. La bomba esplosa a Milano nel dicembre del ‘69, con il suo carico di vittime e di polemiche, aveva inaugurato la contrapposizione di due tesi inconciliabili. La prima attribuiva la carneficina a un disegno neofascista, avallato e protetto dai servizi segreti, naturalmente deviati. La seconda la inseriva in un complesso intreccio di due terrorismi opposti e simmetrici, uniti nel comune progetto di distruggere la democrazia provocando una rivoluzione violenta o una restaurazione autoritaria.
LE DIFFERENZE
Neri e rossi adottavano tuttavia strategie diverse. I primi privilegiavano gli attentati dinamitardi al solo fine di creare il panico: così furono interpretate le stragi di piazza della Loggia, del treno Italicus e altre ancora. I secondi - organizzati in formazioni diverse come le BR, Prima Linea o i Gap - erano più selettivi, mirando a bersagli individuali come magistrati, poliziotti, giornalisti, politici ecc. Chi, come il sottoscritto, ha a lungo indagato su questo lato dell’eversione, deve rendere atto che i brigatisti non vollero mai colpire “nel mucchio”, e che molti attentati furono rinviati proprio per il rischio di coinvolgere estranei. Per questo, quando scoppiò la bomba di Bologna, fu quasi automatico attribuirne la responsabilità ai neofascisti, e indirizzare le indagini verso quella direzione.
GLI INDIZI
C’erano dei buoni motivi per quella opzione. Nell’intero territorio operavano varie bande vagamente ispirate all’ideologia nazista, antiliberale e rivoluzionaria quanto e forse più di quella filomarxista. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro erano i capi di quella più agguerrita e spietata. Benché giovanissima, questa coppia aveva già all’attivo omicidi, rapine e sequestri di persona. Corsini ne fa una ricostruzione puntigliosa, rilevando però che i due non avevano mai ordito attentati indiscriminati, ma erano selettivi quanto i loro colleghi dell’altra barricata. I due furono arrestati e incriminati. Le prove erano deboli, e gli indizi tutt’altro che univoci. Per di più, entrambi avevano confessato con tono quasi arrogante i reati per i quali erano già stati condannati a vita, ma rifiutavano la responsabilità di una strage che ritenevano, tra l’altro, politicamente insensata. La Corte d’Assise li condannò all’ergastolo.
La fragilità dell’impianto accusatorio fu tuttavia riconosciuta dalla Corte d’Appello, che in secondo grado li assolse entrambi. In un paese civile la cosa sarebbe finita lì, perché se una condanna può intervenire solo quando la colpevolezza è provata al di là di ogni ragionevole dubbio, è illogico condannare se un giudice ha dubitato al punto di annullare la precedente sentenza. Ma poiché il nostro sistema penale è quantomeno bizzarro, il processo finì in Cassazione e da lì a una nuova Corte, che irrogò la pena perpetua.
LA RICOSTRUZIONE
Fioravanti e Mambro, comunque, dopo una congrua detenzione godettero dei benefici penitenziari, e oggi sono in libertà. Nel frattempo si sono celebrati vari processi, con esiti diversi. A una raffica di assoluzioni nei confronti di altri neofascisti, si contrappone un ergastolo appioppato a Gilberto Cavallini pochi mesi fa, a quarant’anni dall’evento.
Il libro di Corsini riavvolge questo complesso lungometraggio in maniera così accurata da farci quasi perdere il filo. Ma è il prezzo pagato a un lavoro durato trent’anni, che alla fine solleva più di un dubbio sulla fondatezza della sentenza di condanna. Le 370 pagine riportano documenti e testimonianze contrastanti, sollecitano riflessioni critiche, e soprattutto indicano le varie piste alternative che gli investigatori non seguirono. E questa è la parte più interessante, anche perché è arricchita da una novità clamorosa emersa in tempi recenti: la “maschera” sfigurata di una vittima, che si trovava vicina all’esplosivo. Questa macabra impronta era stata sommariamente attribuita alla ventitreenne Maria Fresu. Ma gli esami del Dna, oggi possibili, hanno dimostrato che l’identificazione era errata. In altre parole, abbiamo una vittima non identificata, di cui nessuno ha mai lamentato la perdita.
L’INCONGRUENZA
È una rivelazione straordinaria, che rievoca tutti i dubbi maturati in questi anni, e principalmente il convincimento di Francesco Cossiga che l’ordigno, trasportato da un corriere palestinese, fosse esploso per errore. La pista arabo-palestinese era in effetti attendibile, visto che in quel periodo Gheddafi metteva le bombe negli aerei, e l’Olp eseguiva attentati un po’ dappertutto. L’Italia, dopo il sanguinoso attentato di Fiumicino del dicembre ‘73, aveva concluso un patto con i terroristi arabi - il famoso “Lodo Moro” - per il quale noi chiudevamo un occhio sul transito dei loro esplosivi, e loro ci affrancavano da attacchi indiscriminati. Il “Lodo” era stato ammesso dallo stesso Moro nelle sue lettere dalla prigionia, ed è un fatto accertato sia dalle varie Commissioni parlamentari - di cui chi scrive è stato consulente - sia dagli storici. Stranamente, rileva Corsini, i giudici di Bologna continuano a negarne l’esistenza. È una stranezza che sorprende anche noi.
LA VULGATA UFFICIALE
In realtà, vista retrospettivamente, è la stessa teoria della “strategia della tensione” a far acqua da tutte le parti. Se il suo scopo, elaborato da menti geniali e diaboliche, era quello di provocare il panico e di conseguenza una reazione autoritaria, bisogna ammettere che non solo tale scopo è miseramente fallito, ma che la sua impraticabilità era evidente sin dall’inizio. Dopo la strage di Piazza Fontana, e per tutti gli Anni ‘70, le sinistre avanzarono e il Paese si trasformò. Passarono il divorzio e l’aborto, nel ‘75 il Pci stravinse le elezioni amministrative e nel ‘76 rischiò il sorpasso della Dc. L’idea di piazzare nel 1980 una bomba per ricostituire un regime neofascista, più ancora che una scelleratezza di delinquenti sembra un delirio di paranoici.
Ma questa vulgata ufficiale, che fa comodo molti, è dura a morire. E purtroppo, conclude Corsini Chiunque azzardi un interrogativo o verifichi un’ipotesi è subito tacciato di depistaggio”. In effetti il pregiudizio è il maggior nemico della verità. E se accettiamo l’enunciazione evangelica che “solo la Verità ci farà liberi”, sotto questo profilo l’Italia è ancora in catene.
Ultimo aggiornamento: 13:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci