Stipendi, aumenti da maggio: come cambia la busta paga. Governo accelera sul taglio dei contributi

Sul tavolo anche una detassazione dei prossimi aumenti contrattuali

Martedì 18 Aprile 2023 di Andrea Bassi
Stipendi, aumenti da maggio: come cambia la busta paga. Governo accelera sul taglio dei contributi

L’aumento delle buste paga dei lavoratori dipendenti potrebbe partire già da maggio. Il governo prova ad accelerare sul taglio del cuneo fiscale attraverso la riduzione dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori. Il ministero dell’Economia e Palazzo Chigi lavorano ad un decreto che potrebbe essere approvato già la prossima settimana. Ad anticipare le intenzioni del governo è stato il sottosegretario all’Economia Federico Freni.

Il taglio

Il beneficio, ha ricordato il sottosegretario, durerebbe fino al mese di dicembre, poi toccherebbe alla manovra di Bilancio il compito di rifinanziarlo per il prossimo anno.

Ma di quanto sarebbero tagliati i contributi? Il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ieri ha confermato quanto già aveva detto qualche giorno fa il ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone. Il taglio “aggiuntivo” rispetto a quello già in vigore, sarebbe dell’1%. Questo significa che lo sconto salirebbe al 4% per gli stipendi fino a 25 mila euro l’anno e al 3% per quelli tra 25 mila e 35 mila euro. Si tratterebbe in sostanza di “mini aumenti” che, al netto delle tasse, oscillerebbero da poco meno di 10 euro al mese per uno stipendio di 15 mila euro a poco più di 16 euro per una retribuzione di 35 mila euro l’anno. Anche per questo il governo avrebbe allo studio anche altre soluzioni.

Secondo diverse fonti al lavoro sul dossier, si starebbe ragionando anche attorno ad una detassazione degli aumenti contrattuali.  Uno degli obiettivi dichiarati nel Def, il Documento di economia e finanza, è la “moderazione salariale”. Il governo, insomma, starebbe cercando un meccanismo per evitare che si crei una spirale tra prezzi e salari che possa portare a nuove pressioni inflazionistiche. Da questo punto di vista il taglio del cuneo potrebbe non essere sufficiente. Sui tavoli tecnici, dunque, si starebbe iniziando a ragionare di una detassazione degli aumenti, in modo da provare anche a calmierare le richieste dei sindacati. 

Il passaggio

Ma si tratta di un passaggio tecnicamente e politicamente complicato. La prima ragione è che la detassazione degli aumenti contrattuali rischierebbe di penalizzare le categorie che hanno già siglato accordi. La seconda ragione è che bisognerebbe inserire nelle buste paga un elemento distintivo della retribuzione sottoposto ad una tassazione agevolata (o a nessuna tassazione). Insomma, una voce a parte un po’ come era avvenuto all’epoca del “bonus 80 euro”. Secondo le stime contenute nel Def appena pubblicato dal governo, il costo per unità di lavoro dipendente continuerebbe a mostrare una crescita sostenuta nel 2023 (3,1 per cento) per poi decelerare lievemente negli anni successivi. Questa prospettiva, spiega il documento, si fonda sull’ipotesi che i futuri aumenti delle retribuzioni contrattuali del settore privato, basati sull’indice Ipca al netto dei beni
energetici importati, sebbene più elevati di quelli registrati in passato, recupereranno solo gradualmente i differenziali registrati negli ultimi due anni rispetto al tasso d’inflazione.  In realtà le richieste che stanno arrivano a diversi tavoli dei rinnovi contrattuali, sono più sostenute. I bancari, per esempio, chiedono aumenti di oltre il 14%, nell’alimentare la richiesta supera il 13%, e si potrebbe continuare. 

I conti

Dal canto suo il governo deve fare comunque i conti con la necessità di tenere sotto controllo il bilancio pubblico. Per le misure a favore delle buste paga ci sono, al momento, 3,4 miliardi di euro (più altri 4,5 miliardi che saranno disponibili però solo nel 2024). Soldi che potranno essere spesi soltanto dopo che il Parlamento avrà dato il via libera alla Relazione che accompagna il Documento di economia e finanza e che autorizza il governo a spendere questo “surplus” che si è creato nei conti pubblici. Esaurito questo passaggio si inizierà a guardare all’appuntamento più importante dell’anno, la prossima manovra di Bilancio. Ieri è stato lo stesso sottosegretario Freni a ricordare che la legge finanziaria partirà da un fabbisogno di 20 miliardi di euro soltanto per finanziare le spese indifferibili. Poi andranno aggiunte le misure di politica economica del governo. A partire dalla riforma fiscale con la riduzione da quattro a tre aliquote dell’Irpef, l’eventuale conferma del taglio del cuneo fiscale, la necessità, ribadita soltanto qualche giorno fa dal ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, di finanziare il rinnovo dei contratti degli statali con almeno 8 miliardi di euro. Senza contare la promessa di introdurre una nuova flessibilità nel sistema pensionistico attraverso «Quota 41», il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Tutte misure che dovranno essere finanziate, secondo le intenzioni del governo, attraverso tagli alla spesa pubblica. 
 

Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 12:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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