Sequestrata in Kenya, «Silvia non è più lì, portata in Somalia»

Sabato 31 Agosto 2019
Silvia
5
Sequestro su commissione: prima il rapimento in un centro commerciale ai Chakama, in Kenya, a 80 km da  Nairobi,poi il trasferimento in Somalia. Un agguato organizzato nei dettagli e commissionato a una banda di criminali comuni, riforniti di denaro e mezzi. Dietro al rapimento della cooperante Silvia Romano, sparita il 20 novembre dello scorso anno, ci sarebbero quindi gruppi somali, che avrebbero preso in consegna la ventitreenne milanese pochi giorni dopo il blitz. Emerge dall'indagine della Procura di Roma, coordinata dal pm Sergio Colaiocco. Dettagli fondamentali sono stati raccolti grazie alla collaborazione tra i magistrati italiani e kenyoti, e al lavoro dell'Intelligence. Durante l'ultimo vertice, che si è svolto in Kenya, - il terzo - è emerso un elemento importante: prima e dopo il sequestro ci sono stati contatti telefonici tra gli autori materiali del rapimento e la Somalia.
RAPIMENTO SU COMMISSIONE
Gli inquirenti non hanno dubbi: si è trattato di un rapimento su commissione. Circostanza che emerge dal fatto che i mezzi utilizzati dal commando, in particolare le armi e le moto, sono stati giudicati da chi indaga «sproporzionati» rispetto all'attrezzatura di cui sono dotate in media le bande criminali kenyote: avevano fucili Ak47 e granate. Ultimo dettaglio: i rapitori sarebbero fuggiti proprio in direzione della Somalia. Ma la polizia di Nairobi segue anche altre piste: la ragazza potrebbe essere stata sequestrata perché era stata testimone di un caso di pedofilia - che coinvolgeva un sacerdote - a Likoni e di un caso di molestie a Chakama, nell'entroterra di Malindi. Uno dei sospetti è che qualcuno volesse evitare che parlasse. Dai verbali emerge che pochi giorni prima di sparire Silvia aveva sporto una denuncia verso un pastore anglicano accusandolo di molestie verso alcune bambine. La ventitreenne aveva detto a un'amica di essere andata dai poliziotti e di aver raccontato tutto. Ma quella querela non compare negli archivi della polizia di Malindi.
Per gli inquirenti al blitz avrebbero partecipato almeno otto soggetti. Tre di loro sono stati fermati nei mesi scorsi.
IL PROCESSO
Ieri, durante l'ultima udienza del processo a loro carico, sono stati riportati in carcere: i magistrati hanno revocato la libertà su cauzione. La loro posizione si è aggravata: oltre al sequestro di persona e al possesso illegale di armi da fuoco, la Procura generale del Kenya contesta ai tre anche l'aggravante del terrorismo. «Cospirazione con finalità di commettere un atto di terrorismo», si legge infatti nel capo di imputazione a carico dei componenti della banda. Erano stati proprio due di loro a dare alle autorità italiane la conferma del fatto che Silvia Romano fosse viva, almeno fino al 26 dicembre scorso. Avevano raccontato di averla pedinata per alcuni giorni e di averla rapita nel centro commerciale, per poi cederla ad un altro gruppo criminale. Il blitz era avvenuto nella contea di Kilifi: la ragazza era stata bloccata e sequestrata. Dopo avere gettato via il suo passaporto e il suo telefono cellulare i rapitori la avevano fatta salire a bordo di una moto e la avevano portata verso una boscaglia nei pressi del fiume Tana.
In attesa della prossima udienza, è già stato programmato un nuovo incontro tra investigatori, dopo quello avvenuto nei giorni scorsi durante il quale le autorità kenyote hanno messo a disposizione del team italiano documenti, verbali e tabulati telefonici.
Mic. All.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimo aggiornamento: 11:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci