Covid Umbria, «Mio figlio, positivo, a 13 anni dorme in auto per non contagiarci: siamo in 5 in una stanza»

Giovedì 29 Ottobre 2020 di Egle Priolo
Covid Umbria, «Mio figlio, positivo, a 13 anni dorme in auto per non contagiarci: siamo in 5 in una stanza»

PERUGIA - Yacine piange.

Piange di nascosto tra gli alberi di via Eugubina per non farsi vedere dai suoi tre figli. Perché a una storia di rivalsa, di chi è «scappato dall'Algeria per avere una bella famiglia felice», dopo anni di lavoro nero che adesso neanche c'è, aggiunge la disperazione di un figlio positivo al coronavirus che «dorme in macchina per non contagiarci».

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«Siamo in cinque, io mia moglie e i tre bambini, viviamo da anni in una stanza, con un bagno di 50 centimetri per un metro – racconta tra le lacrime -, mi hanno detto che deve stare isolato, ma così come si fa?».
Yacine piange ma non strilla. Una dignità d'altri tempi, a Perugia dal 1995, da sempre è abituato a rimboccarsi le maniche, non vuole dare del tu, perché il lei e chiamare tutti dottore – dice - è segno di rispetto e di amicizia vera. «Io sorrido sempre, la gente mi conosce perché sono sempre allegro – spiega -, ma adesso non so più come fare. Abbiamo problemi a pagare l'affitto da 12 anni, ho fatto richiesta per una casa popolare, mi dicono che ne ho diritto ma che c'è gente messa peggio di me. Peggio di cinque persone in una stanza? E adesso con un positivo?».

Il contagio 


Il ragazzino ha 13 anni, è stato contagiato a scuola: dopo due tamponi negativi è arrivato il terzo che ha distrutto anche l'ultima speranza della famiglia di Yacine. In casa, la sorella di 9 anni e il fratellino di appena due, che normalmente dorme con il grande per terra, mentre gli altri tre dividono il letto matrimoniale. «Non mi sono mai lamentato, ho sempre cercato di lavorare, ma ormai non mi chiama più nessuno: eppure sono bravo, sono un imbianchino, ma se serve pulisco giardini o lavoro come trasportatore. Io faccio tutto, ma il lavoro adesso non c'è. Mia moglie? Ha un diploma da pasticcera ma ora non c'è nulla neanche per lei e quindi sta a casa». Da ieri, Yacine cerca disperatamente una stanza per suo figlio: «Ma mi chiedono un contratto di lavoro che non ho e poi tre mesi di caparra. Per 15 giorni, sperando passi tutto presto, come faccio adesso?»

Yacine cammina, si asciuga le lacrime ed è pronto a tornare in macchina da suo figlio, parcheggiata lungo la strada che da casa loro arriva fino a Monteluce. «Gli porto da mangiare e lo vedo che ha pianto anche lui. Ha dormito con il motore acceso per riscaldarsi e legge, sì legge i giornali di sport, gli piace il calcio. Ha anche giocato con la Nazionale Under 15 dell'Italia, sa dottoressa? Davanti a quella maglia bianca mi ha detto “Per me è un onore giocare per l'Italia, perché tu sei nato nel terzo mondo, papà, ma io sono italiano”». Qui le lacrime di Yacine diventano un singhiozzo continuo. «Non riesco a guardarlo negli occhi - la voce impastata dalle lacrime -, mi chiede solo quando. Quando avremo una casa. Quando potrà uscire da quella macchina». Quando.


Impossibile non proporgli un aiuto immediato, soldi, cibo, qualsiasi cosa per non sentire un uomo di 47 anni piangere come un bambino. «Non voglio soldi – dice con orgoglio e lo immagini mentre tira su la testa e mette dritte le spalle -, io non sono venuto in Italia per andare alla Caritas, sono venuto qui per farmi una famiglia, trovare un lavoro, una casa e vivere sereno». Per fortuna, almeno per adesso, suo figlio non ha sintomi particolari, ma è chiaro non possa vivere in macchina per i prossimi quindici giorni, neanche da asintomatico. «Ho chiamato polizia, carabinieri, Asl, ma nessuno può aiutarmi – chiude mentre ripartono i singhiozzi che ti levano il fiato -. Per fortuna il padrone di casa ci aiuta, non gli do più l'affitto ma lui non mi ha mai chiesto di andar via. Sa che sono una persona perbene, anche se i bei tempi in cui lo pagavo sono finiti. L'unico tesoro della mia vita è la mia famiglia, i miei figli sono i miei tesori. Mi aiuti, dottoressa».

L'aiuto del Comune

Dopo il drammatico appello di Yacine, società civile e istituzioni si sono subito messi a disposizione per aiutare suo figlio e la sua famiglia. Il 13enne, infatti, dopo una notte passata in un fondo che Yacine ha trasformato in camera da letto, sarà trasferito nel pomeriggio di oggi insieme al papà al Covid hotel Villa Muzi di Città di Castello, dopo l'interessamento dell'assessore alle Politiche sociali del Comune di Perugia Edi Cicchi. L'assessore si è subito attivata per risolvere la situazione in collaborazione con la Usl e con la Regione. La struttura tifernate è una di quelle individuate per ospitare le persone positive al virus ma asintomatiche o quelle in quarantena che non hanno posti idonei dove stare.
Intanto, grande gara di solidarietà per la famiglia, con associazioni e privati che da questa mattina offrono soldi ma soprattutto un lavoro a Yacine. Un primo passo per tornare alla vita che sperava di avere una volta fuggito dall'Algeria.

Ultimo aggiornamento: 16:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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