Un mese e mezzo fa la commissione Sanità della Regione Lombardia ha effettuato un sopralluogo all’ospedale della Fiera di Milano. «Sarà una struttura modello Wuhan», annunciava a metà marzo il governatore Attilio Fontana inaugurando i lavori. Le cose però non sono andate per il verso giusto: presentato come un polo da oltre 200 posti con 200 anestesisti-rianimatori e 500 infermieri, alla fine i posti realizzati sono stati 164 e i pazienti ospitati solo 17, dal 3 aprile al 6 giugno. In soldoni ogni posto occupato è costato 109 mila euro. Non propriamente un esempio di efficienza. E ora che si comincia ad affrontare il tema della riconversione, arriva un altro stop: la Lombardia lo spiega con i timori di una possibile seconda ondata dell’epidemia dall’autunno che potrebbe rendere prioritaria la terapia intensiva. Ma il piano di trasformazione dell’ospedale per i malati di Covid in poliambulatorio, questo è il progetto, potrebbe assumere i contorni di un’operazione speculativa da parte della Regione.
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Milano, Ospedale-Fiera: il dietrofront che blocca la speculazione
Domenica 23 Agosto 2020 di Claudia GuascoIl 18 agosto si è svolta una riunione tecnica al Policlinico, gestore della struttura, che ha messo a punto un progetto di fattibilità da inviare alla Regione per riconvertire i padiglioni. Il piano consegnato fa seguito alla nota del 6 agosto con cui la Direzione generale del Welfare chiedeva di redigere un «progetto finalizzato a garantire l’erogazione di prestazioni specialistiche ambulatoriali presso il Padiglione Fiera Milano City». Ovvero visite ed esami, con pagamento del ticket incassato dalla Regione, nei padiglioni costruiti con la beneficenza di chi ha donato soldi sull’onda emotiva dell’emergenza coronavirus. Già a fine maggio, alla notizia che l’ospedale avrebbe chiuso entro un paio di settimane, i donatori erano irritati. «Siamo pronti ad andare da un giudice civile se non ci sarà detto come sono stati utilizzati i nostri soldi per l’ospedale in Fiera», attaccava l’avvocato milanese Giuseppe La Scala, alla guida di uno studio con 200 legali e 150 dipendenti che ha versato 10 mila euro. In un tweet il legale si è definito «un pirla» e ha deciso di denunciare «l’assoluta mancanza di trasparenza» dell’operazione a livello contabile. Poiché non c’è stata, rileva, «chiederemo agli enti coinvolti di avere accesso agli atti dal punto di vista amministrativo in base alle norme sulla trasparenza perché, anche se la fondazione è un soggetto di diritto privato, in questi casi quella della Fiera ha un’origine pubblica e la Fondazione Comunità è emanazione di una banca e quindi ha dietro un sistema di vigilanza pubblica».