Migranti, Medici Senza Frontiere non firma il codice delle Ong. Sì di Save the Children

Lunedì 31 Luglio 2017
Migranti, Medici Senza Frontiere non firma il codice delle Ong. Sì di Save the Children
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Niente sintesi tra la missione del Viminale, ridurre gli sbarchi, e quella delle ong, salvare vite in mare. Il Codice di condotta proposto dal ministero raccoglie oggi le firme di solo due delle otto organizzazioni umanitarie presenti nel Mediterraneo Centrale: Moas e Save the children. Mentre una terza, la spagnola Proactiva Open Arms, ha comunicato di voler sottoscrivere l'accordo. Chi non ha aderito al documento, minaccia il ministero, si pone «fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi, a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse».

Non sono bastate, dunque, tre riunioni al Viminale, presiedute dal prefetto Mario Morcone, per superare l'opposizione ed i dubbi della maggior parte delle organizzazioni che fanno soccorso in mare (circa 10 le navi operative) e che quest'anno, come ha sottolineato il ministro Marco Minniti, sono responsabili di circa il 40% dei quasi 100mila migranti arrivati in Italia. Gabriele Eminente, direttore generale di Msf, è stato il primo ad uscire ed a chiarire il 'nò della sua organizzazione, illustrato anche con una lettera inviata a Minniti. Eminente ha riconosciuto «gli sforzi e l'approccio costruttivo del ministero, ma alcune nostre preoccupazioni sono rimaste senza risposte e dunque non ci sono le condizioni per firmare». Innanzitutto, ha spiegato, il documento «non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare e non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie». Poi, ha rilevato, «ci sono soprattutto due punti problematici: l'impegno richiesto alle navi di soccorso di concludere la loro operazione provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi» e «la presenza a bordo di funzionari di polizia armati, che è contraria alla politica 'no-weapons' che applichiamo rigorosamente in tutti i nostri progetti nel mondo». Sulla stessa linea Titus Molkenbur di Jugend Rettet.

Il Codice, ha riferito al termine della riunione, «non ci aiuta a fare il nostro lavoro che è quello di salvare vite umane e contrasta con le leggi marittime». Un'altra ong tedesca, Sea Watch, ha fatto sapere che il Codice è «largamente illegale» e «non salverà vite umane ma avrà l'effetto opposto. Quello di cui c'è bisogno alla luce degli oltre duemila morti di quest'anno non servono più regole, ma più capacità di soccorso». Hanno invece sottoscritto il documento Save the Children e Moas. «Gran parte dei punti - ha osservato Valerio Neri della prima - indicano cose che già facciamo e ci sono stati chiarimenti su un paio di punti che ci preoccupavano, quindi non abbiamo avuto problemi a firmare. Siamo convinti - ha aggiunto - di aver fatto la cosa corretta e mi dispiace che altre ong non ci abbiano seguito, ma evidentemente avevano altre sensibilità». Per il cofondatore di Moas, Christopher Catrambone, «la nostra missione è da sempre quella di salvare più vite possibili in mare e questo documento ci permette di continuare a farlo».

Ora si tratta di capire cosa accadrà con l'applicazione del Codice che prevede generiche «misure» da parte delle autorità italiane per chi non aderisce.

Al Viminale ritengono di aver fatto «tutto il possibile» per venire incontro alle richieste delle ong, ma ora chi si è chiamato fuori dovrà sopportarne le «conseguenze». In una prima versione, emendata poi dai tecnici della Commissione Europea, si parlava di possibilità di vietare l'attracco nei porti italiani alle navi umanitarie. Non si arriverà a questo, ma con la partenza della missione navale italiana, ci sarà un nuovo assetto delle unità in mare a ridosso delle acque libiche, dove incrociano i mezzi della Guardia costiera di Tripoli ed imbarcazioni di milizie armate degli stessi trafficanti. Potrebbe dunque essere ora più pericoloso per le navi umanitarie spingersi - come accaduto in passato - nelle acque territoriali del Paese nordafricano. Si punta inoltre a fare completare i soccorsi ai mezzi delle ong facendoli arrivare in Italia senza trasferire i migranti su altre navi. E nei porti italiani potrebbero essere sottoposti a meticolosi controlli burocratici su documenti ed equipaggio, con ispezioni a bordo, che determinerebbero un blocco dell'attività per diversi giorni.

IL CODICE
Sono 13 gli impegni chiesti dal Viminale alle Organizzazioni non governative col Codice di condotta sottoscritto oggi solo da alcune ong nell'ultima riunione al ministero. La mancata sottoscrizione del documento o l'inosservanza degli impegni previsti «può comportare - si legge nel documento - l'adozione di misure da parte delle autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell'interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un'accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori».

Questi i 13 impegni:
- Non entrare nelle acque libiche, «salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo» e non ostacolare l'attività della Guardia costiera libica.
- Non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione.
- Non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti.
- Attestare l'idoneità tecnica per le attività di soccorso. In particolare, viene chiesto alle ong anche di avere a bordo «capacità di conservazione di eventuali cadaveri».
- Informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca ufficialmente istituita.
- Tenere aggiornato il competente Centro di coordinamento marittimo sull'andamento dei soccorsi.
- Non trasferire le persone soccorse su altre navi, «eccetto in caso di richiesta del competente Centro di coordinamento per il soccorso marittimo (Mrcc) e sotto il suo coordinamento anche sulla base delle informazioni fornite dal comandante della nave».
- Informare costantemente lo Stato di bandiera dell'attività intrapresa dalla nave.
- Cooperare con il competente Centro di coordinamento marittimo eseguendo le sue istruzioni.
- Ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, «eventualmente e per il tempo strettamente necessario», funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico.
- Dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l' ong è registrata.
- Cooperazione leale con l'autorità di pubblica sicurezza del previsto luogo di sbarco dei migranti.
- Recuperare, «una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile», le imbarcazioni improvvisate ed i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.

Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 00:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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