Messina Denaro parla: un’ora davanti ai pm. «Il detenuto si mostra lucido e garbato, ma non è un pentito»

Faccia a faccia tra l’ex super latitante e i giudici antimafia nel carcere de L’Aquila

Lunedì 13 Febbraio 2023
Messina Denaro parla: un’ora davanti ai pm. «Il detenuto si mostra lucido e garbato, ma non è un pentito»

«Generalità? Messina Denaro Matteo…». È un interrogatorio storico. Da una parte, ieri, ci sono il padrino corleonese, dall’altra i magistrati che lo hanno arrestato dopo una fuga durata tre decenni. Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido si ritrovano faccia a faccia con il capomafia trapanese in carcere a L’Aquila. Messina Denaro accetta di rispondere.

Nessuna parola scomposta, nessun cenno di nervosismo. Il profilo è lo stesso che mantiene dal giorno del suo arresto all’uscita dalla clinica La Maddalena di Palermo. Pacato, lucido, garbato e in buone condizioni di salute nonostante sia afflitto da una grave forma di tumore. L’interrogatorio si svolge nella stessa cella dove si sottopone alle sedute di chemioterapia. C’è anche il suo avvocato, una di famiglia. Ad assisterlo, infatti, è la nipote Lorenza Guttadauro, figlia di Filippo e Rosalia Messina Denaro, sorella dell’ex latitante.

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IL PENITENZIARIO

I magistrati arrivano intorno alle 14,30. È un giorno di massima allerta persino in un penitenziario abituato ad ospitare i criminali più pericolosi. Un blocco di cemento in mezzo al nulla, entrato in funzione all’inizio degli anni Novanta e da sempre destinato ai pezzi grossi delle mafie. 

I pubblici ministeri vanno via tre ore dopo. Al netto delle formalità di rito Messina Denaro ha risposto per circa un’ora alle domande. Il contenuto dell’interrogatorio, almeno per il momento, resta confinato alle mura della cella. Non conterrebbe nulla di interessante, nessun contributo importante, né significativo. La corazza resta quella di un irriducibile che declina ogni invito a collaborare con la giustizia. La spia che si sarebbe trattato di una pura formalità sta nel fatto che il verbale non è stato secretato. Gli interrogatori sono tutti di per sé segreti in questa fase, ma la necessità di blindare eventuali spunti di indagine a volte impone la segretazione. Non è questo il caso.

L’ultima volta che Messina Denaro era stato seduto davanti all’autorità giudiziaria era il 1993. Il 18 marzo di 30 anni fa il boss testimoniò al processo su uno dei tanti omicidi di mafia commessi a Partanna, nella provincia di Trapani dove per decenni non si è mossa foglia senza il permesso prima del padre, don Ciccio Messina Denaro, e poi del figlio. «Senta», chiedeva allora il pubblico ministero, «ricorda se fu sentito dalla squadra mobile di Trapani, dopo la morte di un certo Accardo Francesco da Partanna?». «Guardi», rispose il boss, «io, in quel periodo, ho subito decine di interrogatori per ogni omicidio che è successo». Poco dopo sarebbe diventato un latitante. 

Oggi è diverso, dal 16 gennaio è in carcere al 41 bis. Messina Denaro, sanguinario stragista e pluriomicida, già condannato all’ergastolo, a Palermo è imputato in due processi, uno per mafia e l’altro per estorsione. Dopo il suo arresto si sono aggiunte nuove contestazioni. Dal riciclaggio dei soldi per comprare la casa covo di vicolo San Vito, intestata al geometra Andrea Bonafede, alla gestione degli affari mafiosi che ha mantenuto fino al giorno della cattura, alla detenzione della pistola trovata nel covo. Un revolver “Smith & Wesson” calibro 38 special, completo di 5 cartucce.

De Lucia aveva già avuto un breve colloquio con Messina Denaro. Qualche minuto, il giorno dell’arresto. Giusto il tempo per dire al padrino che «è nelle mani dello Stato e riceverà piena assistenza medica». Il capomafia aveva ringraziato. Stessa cosa fece rivolgendosi al colonnello del Ros Lucio Arcidiacono, l’ufficiale che ha coordinato il blitz all’esterno della clinica palermitana di via San Lorenzo. Concetti che avrebbe ribadito ieri nel penitenziario di massima sicurezza “Le Costarelle”.

LE INDAGINI

Da domani i pm di Palermo torneranno a concentrarsi sulle indagini e sulla rete di protezione di cui ha goduto il boss. Alcune pedine sono già cadute: l’autista che lo ha accompagnato in clinica, l’uomo che gli ha prestato l’identità per curarsi, il medico massone che gli ha prescritto esami specialistici e farmaci, colui che ritirava le ricette in studio. Ma mancano ancora tanti tasselli da mettere a posto per capire cosa ha fatto Messina Denaro prima di ricomparire due anni e mezzo fa a Campobello di Mazara. Nel paese trapanese nulla ha fatto per nascondersi. Viveva una vita piena di relazioni, alimentando il mito del capomafia inafferrabile. Nel portachiavi che il boss portava in tasca anche il giorno dell’arresto c’era scritto “L’uomo, il mito, la leggenda sei tu”.

Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 10:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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