Guerra Stati Uniti-Cina, il rappresentante in Italia di Taiwan: «Ci prepariamo, non ci faremo annettere da Pechino»

Sabato 6 Agosto 2022 di Marco Ventura
Guerra Stati Uniti-Cina, il rappresentate in Italia di Taiwan: «Ci prepariamo a un conflitto da anni, non ci faremo annettere da Pechino»

Pechino considera la visita di Nancy Pelosi a Taipei una provocazione e risponde con prove di guerra. «Per noi è solo una visita ad alto livello da un Paese amico, come tante ne abbiamo avute in passato di giapponesi, europei, africani». Andrea Sing-Ying Lee, rappresentante in Italia di Taiwan, ribadisce che il suo è un Paese «libero e indipendente, che ha il diritto di intrattenere rapporti con tutto il mondo, e in particolare spiega - Nancy Pelosi è una parlamentare, non una funzionaria o un membro del governo. Neanche l'amministrazione americana ha il diritto di fermarla. La Cina deve capire che in democrazia c'è il bilanciamento dei poteri.

La tesi della provocazione è una scusa, un pretesto per far credere che Taiwan ha oltrepassato la linea rossa, ma è falso. Così si spara sui piedi: se voleva dimostrare di amare la pace e non essere una minaccia per nessuno, sta dimostrando il contrario. Non accettiamo minacce e speriamo che la Cina sappia quando fermarsi».

Taiwan è sorvolata da missili e accerchiata dalle manovre militari.

«È molto grave. Noi non contrastiamo direttamente le minacce, vogliamo la pace e la stabilità nello Stretto. Le esperienze del passato ci dicono che questo tentativo di blocco, che blocco non è, può durare una settimana o mesi, come nel 1996. Speriamo che la Cina sappia regolarsi e comprenda che queste ritorsioni sono inutili. Taiwan ha una grande forza di difesa che non vuole usare, anche se quel che sta succedendo può incidere sui voli e sul commercio. Il popolo taiwanese è sereno, da più di 70 anni sa di avere un vicino prepotente che lo vuole annettere. Negli ultimi 2 anni, quasi ogni giorno abbiamo registrato sorvoli vicino alla linea mediana e intrusioni nella nostra zona di ricognizione aerea. E abbiamo reagito con saggezza. Adesso hanno rafforzato la dose. Monitoriamo tutto e siamo ben difesi».

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La Cina punta a riunificare Taiwan. Sarete in grado di resistere?

«Dopo la guerra civile del 1949, non sono state firmate tregue né cessate il fuoco. Le ostilità si sono esaurite perché si è arrivati, storicamente, a un equilibrio. Taipei governa l'isola di Taiwan e molte altre isole dal 1945, e dopo il 1949 ha continuato a governarle, mai è stata sotto la Repubblica popolare cinese. Non è una provincia ribelle. Riunificarci equivarrebbe ad annetterci. E noi non abbiamo intenzione di farci annettere. Il nostro motto è: Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Abbiamo 150mila soldati, più di 2 milioni di riservisti, e missili più del necessario contro uno sbarco. La nostra è la strategia del porcospino. Ci prepariamo alla guerra da quando siamo nati».

Nessuna concessione al principio uno Stato, due sistemi?

«Noi siamo due Stati. Si è visto a Hong Kong, nel Tibet, nel Xinjiang con gli Uiguri, che i cinesi non sono capaci di mantenere la parola. Non sanno rispettare autonomia e libertà. Taiwan è una democrazia occidentale', che cresce e dà il benessere ai suoi cittadini. La Cina, piuttosto, rispetti regole e valori universali».

Taiwan sta alla Cina come l'Ucraina sta alla Russia?

«Sono due realtà non paragonabili. Taiwan sta alla Cina come Malta sta all'Italia. L'invasione russa ha dimostrato che Pechino non può pensare di invadere o attaccare Taiwan senza che il mondo reagisca. In Ucraina, l'Occidente ha sorpreso tutti con la sua solidarietà verso Kiev. La Cina dovrà pensarci bene, prima di scegliere la soluzione militare. Lo Stretto di Taiwan è una protezione naturale e, oltre alla solidarietà internazionale, la difesa più grande sta nella determinazione del nostro popolo».

La Cina ha applicato restrizioni al commercio con Taipei.

«Fa giochini, si mette in trappola. Noi siamo la 18a potenza mondiale del commercio. Pechino mostra i muscoli, ma ananas e merluzzo sono una goccia nel mare. L'Iphone è prodotto in Cina da una fabbrica taiwanese con mano d'opera cinese e brevetto americano. Siamo primi al mondo nel mercato dei semiconduttori. Agli italiani chiedo solidarietà. Senza Taiwan, tutta la nostra tecnologia e capacità economica e finanziaria finirebbe a Pechino. Abbiamo perso via via Hong Kong, Macao, Venezuela, Ecuador, Cuba Il mondo libero non può perdere anche un gioiello come Taiwan».

 

Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 11:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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