Grazia, il potere del Presidente della Repubblica di cambiare la pena di un condannato e restituirgli la libertà. Come funziona

I pareri, il perdono, la condotta in carcere: tutti gli elementi che entrano in gioco nella scelta del Capo dello Stato

Venerdì 10 Dicembre 2021
Grazia, quando il presidente della Repubblica ha il potere di cambiare la pena di un condannato
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Cosa significa e cosa succede concretamente quando il Presidente della Repubblica firma la grazia? È quel che è avvenuto ieri, quando Sergio Mattarella ha firmato sette distinti provvedimenti di clemenza individuale. Per capire perché è potuto succedere basta leggere quanto prevede la Costituzione che conferisce al Capo dello Stato una serie di poteri tra cui c'è proprio questo: la grazia. È l'articolo 87 della Costituzione e prevede, al comma undicesimo, che il Presidente della Repubblica può, con proprio decreto, concedere grazia e commutare le pene. Nella grazia, si ravvisa dunque l'atto di clemenza. L'espressione "commutazione delle pene", invece, indica il cambiamento del destino giudiziario, e non solo, del beneficiario del provvedimento. Cosa significa? Che un ergastolo può diventare una reclusione temporanea, che una multa può sostituire una reclusione. Attraverso la grazia si può riacquistare la libertà. In sostanza, il Presidente ha il potere di decidere di trasformare una pena in un'altra meno afflittiva. Le sette persone che ieri hanno ricevuto la grazia da Mattarella vedranno gli effetti penali delle loro condanne cambiare (in meglio). 

Non è un istituto recente.

La grazia è un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un'altra specie di pena prevista dalla legge. La grazia estingue anche le pene accessorie, se il decreto lo dispone espressamente; non estingue invece gli altri effetti penali della condanna (art. 174 c.p.). Ai sensi dell’art. 681 del codice di procedura penale può essere sottoposta a condizioni.

Da quando si è insediato Mattarella ha concesso per 26 volte la grazia ad altrettante persone. Ieri il provvedimento ha riguardato altre sette persone. In tutto sono 33. Chi sono gli altri beneficiari?

Tra questi ci sono Franco Dri, Giancarlo Vergelli e Vitangelo Brini. Tutti e tre colpevoli di omicidi di famigliari. Vergelli e Brini avevano ucciso le mogli, entrambe malate di Alzheimer. Dri aveva sparato al figlio tossicodipendente Federico. Anche Gastone Ovi uccise la moglie consumata dall’Alzheimer. Livio Bearzi è un altro graziato da Mattarella: è il dirigente del convitto de L'Aquila che crollò a causa del terremoto del 6 aprile 2009. Andò in carcere per la mancata ristrutturazione dell'edificio e per la morte di tre studenti. Grazia per motivi umanitari anche per Fabrizio Spreafico che uccise la mamma a Trezzano sul Naviglio, nel Milanese. Nel 2015 è arrivata la grazia per Betnie Medero e Robert Seldon Lady, gli ex agenti della Cia coinvolti nel sequestro dell'imam Abu Omar. 

Come si chiede la grazia

Oltre alla Costituzione, per capire come funziona il procedimento di concessione della la grazia bisogna avere sottomano il codice di procedura penale: l'artico 681. La domanda di grazia è diretta al Presidente della Repubblica e va presentata al Ministro della Giustizia. C'è uno specifico comparto assegnato a queste richieste: si chiama il "Comparto Grazie". 

Chi può chiederla

È sottoscritta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. La grazia può essere chiesta anche dal presidente del consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario in cui sta scontando la pena un condannato. Anche lui infatti può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.

Le altre figure che si esprimono

Il Capo dello Stato firma il provvedimento di grazia, è a lui che compete la decisione finale. Solo lui può decidere e firmare la grazia. Ma ci sono delle altre figure appartenenti all'amministrazione della giustizia che intervengono ed esprimono il loro punto di vista durante l'iter che porta a quella decisione. Sulla domanda o sulla proposta di grazia esprime il proprio parere il Procuratore generale presso la Corte di Appello e, se il condannato è detenuto - anche presso il domicilio – oppure affidato in prova al servizio sociale, il Magistrato di sorveglianza.

Le persone che ricoprono questi ruoli, il Procuratore generale presso la Corte di Appello e il Magistrato di sorveglianza, acquisiscono «ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle Forze di Polizia, alle valutazioni dei responsabili degli Istituti penitenziari». In sostanza si compila un'istruttoria che candida il detenuto a questa "seconda possibilità", cioè alla grazia.

Il Comparto Grazie formato attualmente da Enrico Gallucci, Vicario del Capo dell’Ufficio, magistrato ordinario collocato fuori del ruolo organico della magistratura, e da tre funzionari amministrativi che esamina le domande, ricerca eventuali pratiche precedenti simili al caso promotore della richiesta, trasmette la richiesta al Ministero e assicura priorità alla istruttoria di domande o proposte che prospettano situazioni obiettivamente meritevoli di trattazione urgente. È il Comparto Grazie che invia le istruttorie al Capo dello Stato per le sue determinazioni.

Si ricostruisce, dunque, l'intera vicenda giudiziaria del candidato alla grazia. Durante questo periodo di studio dei casi specifici si prendono in considerazione fatti e atti avvenuti anche dopo la conclusione della vicenda giudiziaria. Le domande a cui si cerca di rispondere sono simili a queste. Dopo quella condanna c'è stato un processo di ravvedimento o di pentimento? Se una persona è stata condannata per omicidio, c'è stata una forma di perdono e riconciliazione con le persone vicine alla vittima o alle vittime? È stato concesso il perdono delle vittime? Le risposte a questi interrogativi influiscono nella decisione di concedere la grazia.

Il ruolo del Ministro della Giustizia

Una volta acquisiti questi pareri, il Ministro trasmette la domanda o la proposta di grazia, corredata dagli atti dell’istruttoria, al Capo dello Stato, accompagnandola con il proprio “avviso”, favorevole o contrario alla concessione del beneficio. Il Ministro deve dunque esprimere in modo palese il suo parere anche se come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2006, è al Capo dello Stato compete la decisione finale. L’art. 681 del codice di procedura penale prevede anche che la grazia possa essere concessa di ufficio e cioè in assenza di domanda e proposta, ma sempre dopo che è stata compiuta l’istruttoria. 

Cosa succede dopo la firma del Presidente della Repubblica?

Se il Presidente della Repubblica concede la grazia, il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione, ordinando, se del caso, la liberazione del condannato. È quel che è avvenuto ieri con Michele Strano che torna a essere un uomo libero.

La storia di Michele Strano che lascerà il carcere grazie a Mattarella

Doveva scontare sei anni, due mesi e 20 giorni di carcere per avere ucciso uno dei rapinatori che facendo irruzione nel supermercato di famiglia avevano ucciso suo fratello. Ma Michele Strano, di 53 anni, di Delianuova, ha avuto un provvedimento di clemenza da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che lo ha graziato di un anno di reclusione. Strano era stato condannato per omicidio volontario. Il 7 aprile del 2012, vigilia di Pasqua, due rapinatori fecero irruzione verso le 20 nel supermercato di famiglia. Nelle concitate fasi della rapina, nel corso di una colluttazione, rimase ucciso a colpi di pistola il fratello di Michele, Giuseppe. Nella colluttazione successiva, fu ferito anche uno dei banditi, Luigi Napoli, che fu poi abbandonato per strada, morto, dai suoi complici. In un primo momento si pensò che a sparare il colpo che ferì mortalmente il giovane rapinatore fosse stato lo stesso titolare del supermercato. Ma nel proseguo delle indagini, i sospetti caddero su Michele Strano che poi andò a giudizio e fu condannato, anche se con le attenuanti.

La pacificazione - Secondo la ricostruzione dell'epoca, Michele Strano arrivò al supermercato quando il fratello era già riverso in terra ed ingaggiò una nuova colluttazione con il rapinatore armato. Un colpo partì dalla pistola e ferì mortalmente Napoli. Prima che la giustizia facesse il suo corso, le famiglie delle due vittime avviarono sin da subito un percorso di pacificazione con uno scambio di segni di pace. Pochi giorni dopo il delitto, infatti, la moglie di Giuseppe Strano pronunciò parole di perdono nei confronti di Napoli e la madre di quest'ultimo affidò al parroco di Cinquefrondi un messaggio di risposta sancendo la pacificazione tra le famiglie. Un riavvicinamento sancito nel corso di una messa alla quale parteciparono anche i parenti degli altri due giovani che avevano partecipato alla rapina. Ed è stato proprio il percorso di riconciliazione avvenuto tra i familiari delle due vittime uno degli elementi che ha spinto il Capo dello Stato a graziare Michele Strano. Per la decisione ha anche tenuto conto del parere favorevole formulato dal procuratore generale. E così Michele Strano, da oggi torna ad essere un uomo libero.

Ultimo aggiornamento: 13:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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