Palazzo Chigi ai ministri: «Se volete il Recovery dovete tagliare le spese»

Giovedì 17 Settembre 2020 di Roberta Amoruso
Palazzo Chigi ai ministri: «Se volete il Recovery dovete tagliare le spese»

Non ci può essere Recovery Fund senza un taglio netto alle spese e con un occhio al debito. È scritto chiaramente tra le Linee Guida per il Piano Nazionale di Ripresa inviato ieri al Parlamento: 38 pagine e 32 slide per un programma basato su nove «direttrici di intervento». Lo spirito del documento è quello della «massima collaborazione e sinergia tra governo e Parlamento», per centrare «indirizzi, valutazioni e proposte» per il Piano da inviare a Bruxelles che punta ad agganciare i 200 miliardi del Recovery Fund. «Un’occasione storica» che richiede «dialogo», scrive Giuseppe Conte nella lettera che accompagna le linee guida. Ma c’è un monito che emerge a sorpresa in fondo al documento e che non è certo passato inosservato tra i ministeri.

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«Per quanto riguarda i prestiti che si renderanno disponibili secondo il programma NGEU - si sottolinea - il governo è orientato a massimizzarne l’utilizzo delle relative risorse. Va tuttavia considerato che i prestiti erogati all’Italia dalla Commissione Europea se non compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate, contribuiranno ad accrescere il deficit della Pa e l’accumulazione di debito pubblico». Al Pnrr dovrà pertanto «affiancarsi una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza pubblica nel medio termine dopo la forte espansione del deficit prevista per quest’anno in conseguenza della pandemia e degli ingenti interventi di sostegno all’economia». Dunque, i vari dicasteri sono avvertiti, il governo «dettaglierà il sentiero di rientro del deficit per gli anni 2021-2023 nella Nota di aggiornamento del Def di prossima pubblicazione». E «lo scenario programmatico includerà la previsione di utilizzo dei prestiti previsti».



LO SVUOTAMENTO DEI CASSETTI
Un modo per dire che anche in tempi di Recovery Fund i ministri sono comunque chiamati a tirare la cinghia in nome del debito e del deficit ormai verso il 160% del Pil. Non certo sollecitati a fare il contrario, come sembrerebbe dire la valanga di progetti (ben 557 per oltre 677 miliardi) arrivati da singoli ministeri, una parte dei quali sicuramente frutto dello svuotamento dei cassetti, tanto improbabili e persino grottesche si sono rivelate alcune proposte.
Per tornare al documento, vengono confermate le 6 missioni: digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute. Sono chiari i paletti per l’ammissibilità dei progetti piombati a centinaia sui tavoli competenti. Ma non sono altrettanto chiari i dettagli sui piani o sulle modalità con cui s’intenda ottenere i ritorni su crescita e occupazione. 

I dossier, è scritto, devono presentare «piena coerenza» con gli obiettivi strategici e macrosettoriali del Pnrr; «significativo impatto positivo» su crescita del Pil e dell’occupazione; costi e impatti economici, ambientali e sociali «quantificabili, motivati e ragionevoli». E vanno indicati tempi e modalità di esecuzione. Ma è bandita «la frammentazione» in mille rivoli «isolati». Servono pochi grandi progetti.

Un esempio? Sono «premianti», spiega il documento, «la piena coerenza con gli obiettivi del Piano di Rilancio del Paese (con enfasi sull’innovazione e la sostenibilità ambientale e solidale), l’aderenza alle “missioni” del Piano Sud 2030, il valore aggiunto in termini di occupazione, la rapidità di attuazione (onde rischiare di disperdere le preziose risorse Ue da qui al 2026), la partecipazione di capitali privati ai progetti (anche per elevare la potenza di fuoco di tutto il Programma) e la loro monitorabilità». L’obiettivo deve essere raddoppiare il Pil dell’ultimo decennio (dallo 0,8% all’1,6%), aumentare l’occupazione di 10 punti e aumentare gli investimenti portandoli al 3% del Pil. Come farlo? Con le riforme.

A partire da quella del fisco, con l’abbassamento della tassazione ai ceti medi e alle famiglie con figli, guardando anche al trasferimento dell’onere «dalle persone alle cose» come raccomandato dall’Ue. Poi spunta il salario minimo. Mentre Green e digitale sono le parole d’ordine. Nelle missioni su infrastrutture e mobilità si punta addirittura all’installazione di colonnine di ricarica elettrica sulle autostrade, mentre in quella sull’istruzione rientra sia il cablaggio con fibra ottica di scuole e universitarie, sia la loro riqualificazione in chiave di efficienza energetica e antisismica. Nello stesso capitolo il governo pensa anche all’arrivo di infrastrutture per e-learning e il potenziamento di asili e nidi. La digitalizzazione, con il completamento della rete in fibra, lo sviluppo del 5G e l’identità digitale, è alla base anche della telemedicina e del fascicolo sanitario elettronico a cui si punta nella sanità, oltre che dello smart working. 
 

Ultimo aggiornamento: 12:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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