Via Crucis, l'ucraina Irina e la russa Albina «adesso hanno paura»: temono ritorsioni

La Chiesa di Kiev: non è l’ora del perdono. Ma le due infermiere: «Il conflitto ci unisce»

Sabato 16 Aprile 2022 di Emiliano Bernardini e Franca Giansoldati
Via Crucis, l'ucraina Irina e la russa Albina «adesso hanno paura»: temono ritorsioni

Il giorno dopo aver lanciato un messaggio potentissimo in mondovisione, Irina e Albina, le due infermiere del Campus Bio Medico che hanno portato la croce durante la Via Crucis, si sono chiuse in un silenzio assordante. D’altronde nessuna parola avrebbe potuto superare quello sguardo che si sono scambiate mentre si apprestavano a percorrere la tredicesima stazione. «Sono riservate» fanno sapere. Ma, nei corridoi del Campus trapela che il motivo è anche un altro: hanno paura. Paura delle conseguenza che le loro parole possono scatenare visto il putiferio dopo la scelta fatta da Papa Francesco. Una scelta bollata come inopportuna, visti i bombardamenti e le battaglie ancora in corso, dall’ambasciata di Kiev in Santa Sede, ma anche dalla Chiesa cattolica locale.

Insomma il timore di ripercussioni è fondato. Non è un caso nemmeno che venerdì sia stato cambiato il cerimoniale: Irina e Albina sono rimaste in silenzio durante il trasporto della croce. Ma quello sguardo è stato più potente di ogni altra parola. Tanti colleghi e amici hanno scritto loro messaggi di complimenti e solidarietà. Si sono lasciate andare solo con chi hanno legami più stretti. Un sistema di protezione. Temono per le loro famiglie in Ucraina e Russia e per quelle che hanno qui in Italia. Al Campus le conoscono praticamente tutti. «Sono un esempio positivo. Hanno una forza incredibile. Il loro legame è un qualcosa che deve far capire quanto questi due popoli siano fratelli», raccontano. «Non è da tutti avere il coraggio di fare quello che hanno fatto». E già perché ora questa sovraesposizione mediatica ha finito per costringerle al silenzio. Un silenzio voluto e consigliato.

LA FORZA DEL SILENZIO

Hanno paura di possibili ritorsioni verso i loro cari o delle reazioni che le rispettive ambasciate possono avere. Il loro pensiero lo hanno esternato in un video registrato con il Campus Bio-medico pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità: «Sono in ansia per mia madre e i miei cari che sono in guerra. Anche se sono in una zona più tranquilla ciò non toglie che la preoccupazione sia grandissima. Li sento tutti i giorni e cerco di supportarli e aiutarli», le parole di Irina. Albina aveva gli occhi gonfi di lacrime allo scoppio della guerra, e nel video lancia un messaggio fortissimo: «Io sono russa ma amo l’Ucraina. Hanno cercato di mettere contro i due paesi».

IL LORO LEGAME

La loro amicizia è nata un po’ per caso, un po’ per necessità. Albina è russa e studia al terzo anno del corso di laurea in Infermieristica mentre Irina è ucraina ed è già infermiera al Centro di Cure Palliative “Insieme per la cura” della Fondazione del Policlinico Universitario dell’Opus Dei. Ad unirle è stata la pandemia. Si sono conosciute durante i mesi duri del lockdown. Dei turni snervanti e senza fine. Delle incertezza e della paura. Poi è arrivata la guerra. «Poco dopo lo scoppio, Albina è venuta nel mio reparto. Io ero di turno. È bastato il nostro sguardo: i nostri occhi si sono riempiti di lacrime e Albina ha cominciato a chiedermi scusa. Si sentiva in colpa e mi chiedeva scusa. Io la rassicuravo che lei non c’entrava niente in tutto questo», racconta Irina. Oggi dicono sicure: «La guerra ci ha unite».

 

LA POLEMICA DELLA CHIESA

Vederle il giorno del Venerdì Santo reggere la croce di Cristo ha però creato un caso in Ucraina. Colpa di percezioni sbilanciate. L’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk ha spiegato che assistere ad un allestimento del genere mentre i missili continuano a cadere e mentre, anche ieri, sono stati dissotterrati altri 900 corpi di donne, anziani e bambini uccisi dai russi è difficile da metabolizzare in un amen. «Con le truppe russe presenti tali gesti sono in linea di principio impossibili: penso non sia ancora il momento di parlare di riconciliazione. Per riconciliarsi bisogna almeno essere vivi». Su quel «bisogna almeno essere vivi» l’arcivescovo ha calcato in modo particolare e non è proprio un dettaglio per chi vive quotidianamente una catena di dolorosi lutti. Alla Radio cattolica ucraina ha raccontato di avere insistito moltissimo in Vaticano perché la pia rappresentazione al Colosseo non avesse quella impostazione. «Ad alcuni sognatori vaticani che immaginano la pace tra le nazioni, la fratellanza e l’unità, è venuta l’idea di compiere gesti di riconciliazione tra russi e ucraini lungo la Via Crucis». Non che il perdono e la riconciliazione non siano previsti, tutt’altro. Il fatto è che, secondo la Chiesa di Kiev, occorre procedere per gradi.

Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 18:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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