Sindrome post-Covid, quali sono i sintomi? I malesseri possono durare anche mesi

Lunedì 22 Febbraio 2021 di Claudia Guasco
Sindrome post-Covid, quali sono i sintomi? I malesseri possono durare anche mesi

Problemi respiratori, spossatezza, insonnia, difficoltà a memorizzare e una sensazione di «nebbia nel cervello». Per alcuni anche perdita prolungata di gusto e olfatto e rash cutanei. Tutti sintomi comuni ai pazienti Covid ma che possono persistere anche dopo il ritorno alla negatività.

Perché non bastano due tamponi negativi, spiegano i medici, per poter affermare che il corpo è guarito. I malesseri del virus possono protrarsi per mesi. A un anno dal primo caso, oltre alla ricerca sui vaccini e su come curare l’infezione, sono in corso in tutto il mondo studi su durata ed entità di queste conseguenze a lungo termine, la cosiddetta «sindrome post-Covid-19» che colpisce almeno un terzo degli ex contagiati.

Nuovo Dpcm, spostamenti e visite vietati per un altro mese. «Si riapre a Pasqua»

Vaccini, dosi dai medici di base senza vincoli per fasce d’età. Pressing sull'Ue per nuove forniture

SINTOMI PROLUNGATI

L’ultima ricerca sul tema, pubblicata la scorsa settimana dalla rivista Jama Network Open, sta aprendo nuovi scenari. I ricercatori dell’Università di Washington hanno seguito 177 persone con infezione da SARS-CoV-2 per nove mesi, il periodo più lungo fino a oggi. Il gruppo comprendeva 150 pazienti ambulatoriali con malattia lieve e che non erano stati ricoverati in ospedale. Il 30% dei pazienti in osservazione ha riferito di accusare sintomi persistenti, i più comuni erano affaticamento e perdita dell’olfatto o del gusto. Più del 30% ha affermato che la loro qualità della vita era peggiorata rispetto a prima di ammalarsi. E 14 pazienti (l’8%) ha detto di avere problemi a svolgere almeno un’attività abituale, dal lavoro alle faccende di casa. I ricercatori sottolineano che, con 57,8 milioni di casi in tutto il mondo, «anche una piccola incidenza di debolezza a lungo termine potrebbe avere enormi conseguenze sulla salute ed economiche». Ora ci sono più di 110 milioni di casi in tutto il mondo, secondo gli ultimi dati raccolti dalla Johns Hopkins University, ma nessun medico è in grado di dire quale percentuale di persone contagiate svilupperà la sindrome post-Covid.

Video

LE PREVISIONI

Uno studio molto più ampio, pubblicato all’inizio di gennaio su The Lancet, ha rilevato che su 1.733 pazienti affetti da coronavirus curati nell’ospedale della città cinese di Wuhan, il 76% accusava ancora almeno un sintomo sei mesi dopo il primo tampone positivo. Un articolo della Cnn racconta l’esperienza del Center for ost-Covid care del Mount Sinai di New York City: riaperto a maggio, da qui sono passati già 1.600 ex malati Covid in riabilitazione e c’è un’attesa di mesi per un appuntamento. «È molto difficile prevedere chi avrà questi sintomi», spiega alla Cnn il dottor Zijian Chen, il direttore medico. «I pazienti sono di origini diverse, hanno un’età compresa tra i 20 e gli 80 anni, maschi e femmine. Unico tratto comune: hanno avuto il Covid in modo lieve. Questo però non li ha salvati dalla sindrome dei sintomi persistenti». Il dottor Christian Sandrock è professore di medicina in terapia intensiva polmonare e malattie infettive a Sacramento, in California, e cura i pazienti post Covid. «Quando guardiamo i sintomi a lungo termine le principali patologie sono stanchezza, letargia e disturbi del sonno. Poi mancanza di respiro e dolore al petto», elenca alla Cnn. Per quanto riguarda le cause, secondo Sandrock potrebbero essere determinate dalle complicazioni di un lungo ricovero in ospedale o in terapia intensiva, che hanno contraccolpi duraturi. Alcune potrebbero essere innescate da malattie microvascolari, danni ai capillari alla base di molti sintomi, dal dolore al petto, alle dita dei piedi, alla fatica e persino alla nebbia del cervello. Alcuni sintomi potrebbero essere una risposta autoimmune ad alti livelli di infiammazione, come dolori articolari e muscolari, disturbi del sonno, depressione e affaticamento. O anche un’infezione diretta del virus, come la perdita dell’olfatto e del gusto.

LE CURE

Come si curano i pazienti affetti da sindrome post Covid? Il trattamento, spiega Sandrock, è molto personalizzato e dipende dai sintomi e dalle cause sottostanti. Ma molto, assicura, dipende dal paziente e dal ritmo di vita che devono adottare per guarire completamente: lento e meno stressante. «Vogliamo che le persone siano davvero pazienti di se stesse. Questo è fondamentale», ribadisce il dottor Christian Sandrock. Anche la collega Dayna McCarthy, del Mount Sinai’s center for post-Covid care, concorda che i pazienti debbano adattare le loro aspettative su se stessi e rallentare: «Siamo come gli elastici. Vogliamo solo tornare al modo in cui eravamo prima. Questa è una delle sfide più grandi». I miglioramenti sono duri ed estremamente lenti. «Giorno per giorno è davvero difficile misurarli. Tre passi avanti, due passi indietro», riflette Sandrock. Gli esperti sono compatti nell’affermare che sono necessarie molte più ricerche per comprendere meglio la sindrome post-Covid e le pratiche di trattamento più adatte. Ma sono ottimisti riguardo al futuro. «Ora che la sindrome è stata riconosciuta, anche la scienza di segue», dice Dayana McCarthy.

L’ESPERIENZA ITALIANA

Anche in Italia sono nati diversi centri per la sindrome post-Covid. Tra questi l’Istituto Spallanzani, che ha istituito al proprio interno un ambulatorio per il follow up a lungo termine. In cura, pazienti curati per polmonite moderata, ma anche per forme gravi, che sono stati ventilati, intubati, che hanno avuto lunghe degenze in rianimazione: in queste condizioni, rilevano i medici dello Spallanzani, è più facile che ci possano essere delle conseguenze. Molti pazienti, emerge dalla mappatura dello Spallanzani, possono presentare un quadro infiammatorio, un aumento degli enzimi epatici, dunque una serie di manifestazioni ematochimiche non completamente risolte al momento della dimissione, che i medici tengono poi monitorate nel tempo. I pazienti vengono sottoposti a prove specifiche sul polmone, a prove di funzionalità respiratoria, come i test spirometrici, per capire se – specie nei pazienti particolarmente gravi con decorsi prolungati in rianimazione – ci possa essere una tendenza a sviluppare una fibrosi polmonare residua, ad avere cioè una cronicizzazione del quadro clinico, meno grave di quello acuto ma comunque rilevante in termini di gestione della salute a lungo termine.

Ultimo aggiornamento: 18:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci