Covid Roma, bimbi a scuola con i sintomi: boom di chiamate ai pediatri

Giovedì 12 Novembre 2020 di Lorenzo De Cicco
Covid Roma, bimbi a scuola con i sintomi: boom di chiamate ai pediatri

Migliaia di chiamate ai pediatri. Tutte dello stesso tenore: a scuola c'è un bimbo «con i sintomi», magari lievissimi, del Covid. «Che si fa?».

Il virus ha stravolto la gestione dei malanni di stagione, che a novembre ormai inoltrato iniziano a moltiplicarsi ovunque, classi comprese. Tossi, mal di gola, raffreddori. Alle prime avvisaglie, a cui magari in famiglia a volte non si da (o non si può dare) troppo peso, tra i banchi scatta l'allarme. E la prima telefonata è ai pediatri degli alunni trovati a tossire o a tirare su col naso tra i compagni. «Ogni giorno un pediatra riceve in media almeno 5 chiamate dalle scuole perché un bimbo, ci dicono, ha i sintomi. E dato che i pediatri a Roma sono mille, significa 5mila chiamate tutte le mattine», racconta Teresa Rongai, segretaria romana della Fimp, la federazione dei medici pediatri. «Spesso ci telefonano perché non è chiara la procedura - aggiunge - a volte anche per una banale rinite, un raffreddore insomma, per cui non dovrebbe essere previsto nemmeno il tampone, da protocollo». È capitato, di rado per fortuna, che venisse segnalato anche qualche bambino con la febbre. E in quel caso sono spesso gli altri genitori a chiedere alle maestre d'intervenire rapidamente, per evitare contatti.

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La situazione è caotica e forse avrebbe potuto esserlo di meno se le dosi dei vaccini antinfluenzali fossero già state somministrate a sufficienza. Invece in tante zone della Capitale le scorte sono finite. Secondo la federazione dei pediatri, «ci sono problemi nel territorio della Asl Roma 1, mentre nella Roma 2 le cose vanno meglio». La Regione ha parlato di un «rallentamento» nella distribuzione, per problemi legati alla produzione dell'antidoto. Ma ha garantito che a partire da questa settimana sarebbero arrivate nuove forniture.


CONTRO LE MASCHERINE
Se molti genitori prendono sottogamba i sintomi Covid e mandano a scuola i figli lo stesso, secondo l'Associazione Presidi di Roma, è anche perché temono di finire ingabbiati per giorni nella trafila per ottenere il referto di un tampone. Non a caso, dice Mario Rusconi, il capo dell'AssoPresidi, «nelle scuole superiori il tema ha dimensioni estremamente ridotte, anzi è quasi del tutto assente, perché riguarda studenti che, se malati, possono stare a casa da soli tranquillamente. Mentre il problema investe le famiglie con i bambini piccoli, che se non vanno a scuola costringono indirettamente mamme e papà a chiedere un permesso al lavoro, per esempio». In ogni caso, se a scuola si captano sintomi sospetti, si chiamano i pediatri. «Non abbiamo altra scelta - riprende il capo dell'associazione presidi - Gli insegnanti non sono epidemiologi, quindi in queste situazioni non possono far altro che rivolgersi ai medici per capire qual è il percorso corretto per evitare di esporre gli altri studenti al pericolo d'infezione».
C'è un altro fenomeno rischioso che ha preso piede in alcuni istituti. Le diffide legali dei genitori no-mask, chi insomma non gradisce che i figli indossino la mascherina durante le lezioni. «Ci fanno scrivere dagli avvocati - riprende il presidente dell'Anp, Rusconi - Ma se la diffida non è supportata da certificati medici che dimostrino un impedimento di tipo sanitario, per esempio se si ha l'asma, è solo un'intimidazione. Quando serve la mascherina va indossata».

Ultimo aggiornamento: 09:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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