Covid Lombardia, dalle Rsa alle mascherine fino ai tamponi: il flop di un modello

Domenica 13 Settembre 2020 di Mauro Evangelisti
Covid Lombardia, dalle Rsa alle mascherine fino ai tamponi: il flop di un modello

C'era una volta il mito dell'efficienza lombarda, l'illusione che l'autonomia avrebbe esaltato una regione che si sentiva frenata dallo stato centrale e si presentava come modello al Paese, anzi all'Europa. Poi è arrivata la tragedia del coronavirus, prima nel Lodigiano, a seguire in provincia di Bergamo, infine in tutta la Lombardia. Sarebbe impietoso tornare sugli errori dei giorni drammatici di febbraio e marzo, perché è innegabile l'attenuante concessa a una regione colpita per prima dallo tsunami Covid. I mesi successivi mostrano, però, le falle nella gestione dell'epidemia. Anche quando è tornata la calma e c'è stato il tempo per riorganizzarsi, troppe cose non hanno funzionato.

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RITARDI
Esempi: aeroporto di Malpensa, tamponi per chi torna da paesi a rischio come Grecia, Spagna, Croazia e Malta. Mentre a Fiumicino (in quella Roma che Milano ha sempre guardato con senso di superiorità) i tamponi antigenici vengono eseguiti in pochi minuti a chi atterra e dopo mezz'ora ecco già consegnato il risultato, a Malpensa è andato in scena un mezzo fallimento: non solo i tamponi in aeroporto sono partiti molto in ritardo e con una gaffe (si pretendeva di offrire il servizio solo ai viaggiatori lombardi), ma ci sono passeggeri che restano prigionieri in casa 8-10 giorni perché il risultato non arriva. La Regione Lombardia e l'azienda sanitaria locale si sono giustificate dicendo che la colpa è di un macchinario in avaria del laboratorio privato che deve elaborare i test, tanto che si è costruito il paradosso che i tamponi, per il responso, sono stati inviati in Germania e Portogallo.

A proposito di spedire materiale all'estero: l'altro giorno la Lombardia ha deciso di mandare delle mascherine in Kazakistan. Come mai? Marzo, nel pieno della crisi, la Lombardia si trova a corto di mascherine e, tramite la sua centrale acquisti, si rivolge a una azienda di Rho, che di solito produce pannolini. Scatta la produzione di quelle che passeranno alla storia come, appunto, le mascherine-pannolino, contestate da subito da medici e infermieri perché non erano né sterili né filtranti.
 



Eppure, ne sono state acquistate 18 milioni, per una spesa di oltre 8 milioni di euro. E l'altro giorno, come ha rivelato La Stampa, la Regione Lombardia ha deciso di acquistarne un altro quantitativo e inviarne una parte consistente, un milione e mezzo, in Kazakistan come dono. Secondo i medici sono inutilizzabili, vanno indossate facendole passare dalla testa, e i Cobas hanno anche presentato un esposto alla Procura in seguito al quale è stato aperto un fascicolo.

Nella mozione di sfiducia a Fontana, presentata dalla minoranza in consiglio regionale e poi bocciata, si legge: «Le mascherine-pannolino si sono rivelate inutili in quanto hanno visto una giacenza di magazzino per un quantitativo di ben 14,5 milioni di mascherine, pari al 90% della fornitura». C'è un'altra storia su cui si è concentrata l'attenzione della procura di Milano: l'affidamento senza gara, il 16 aprile, di una fornitura di 75 mila camici e altri Dispositivi di protezione per oltre mezzo milione di euro a Dama, di cui è amministratore il cognato del governatore Fontana. Come si ricorderà, l'affidamento è stato cambiato in donazione dopo un servizio di Report che parlò del possibile conflitto di interessi. Ora l'inchiesta sta prendendo la strada della rogatoria internazionale a causa della complicazione del conto in Svizzera di Fontana da 5,3 milioni di euro, scudati cinque anni fa e provenienti dai conti associati a due trust alle Bahamas creati dalla madre del presidente lombardo.

RSA
Tamponi in ritardo, mascherine-pannolini, indagini sui camici acquistati dalla società legata a famigliari del governatore: non sembra il curriculum di una regione modello che con l'autonomia diventerà un esempio di efficienza in Italia e in Europa.
Ma ancora più drammatico è stato il fallimento, nel pieno della crisi coronavirus, della gestione delle Rsa: in Lombardia, secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, il 45 per cento degli anziani morti nelle residenze aveva i sintomi del Covid. I familiari puntano il dito sulla scelta di inviare i pazienti contagiati dal coronavirus nelle Rsa, perché erano finiti i posti negli ospedali. Le differenti procure della Lombardia anche su questo hanno molti fascicoli aperti.

Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 00:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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