Coronavirus, gli errori da non commettere in caso di malessere: «Decisivo descrivere i sintomi»

Sabato 28 Marzo 2020 di Camilla Mozzetti
Coronavirus, dalla febbre al possibile ricovero tutti gli errori da non commettere «Decisivo descrivere i sintomi»

Non c'è cittadino in questi giorni di emergenza da Covid-19 che, colto da sintomi influenzali, non si sia fatto prendere dal dubbio e in parte anche dall'ansia. Che non si sia chiesto: «Avrò contratto anche io il coronavirus?» Cosa fare quando appunto si manifestano febbre, dolori muscolari e quei sintomi propri di una classica influenza che, tuttavia, potrebbe nascondere dell'altro? I protocolli da seguire sono molto chiari, anche se dall'inizio dell'emergenza sono stati di volta in volta modificati e attualizzati seguendo l'evoluzione del virus stesso. Il percorso però da seguire è abbastanza semplice e diversificato a seconda della gravità dei casi.

I SINTOMI
Come primo passo il paziente che in casa inizia ad avere la febbre - 37,5 o più alta - deve contattare il proprio medico di famiglia. I sintomi del coronavirus sono stati isolati in questi: febbre accompagnata da tosse, difficoltà a respirare (sensazione di fiato corto), astenia, dolori muscolari associati anche a congiuntivite, diarrea o perdita di gusto e di olfatto.

LA PROCEDURA
Il medico di famiglia può essere contattato telefonicamente per una prima valutazione oppure attraverso l'App DoctorCovid creata dalla Regione Lazio che permette al paziente di compilare il pre-triage e inviarlo poi direttamente al dottore che valuterà il caso. Tutti i cittadini sono iscritti come mutuati presso un medico di famiglia e dunque, pur essendo attivo il numero unico 800-118-800 o il 1500, è preferibile seguire il primo canale. Il medico, ricevuta la scheda attraverso l'App o dopo aver sentito telefonicamente l'assistito, valuta l'esistenza di un caso sospetto o meno di coronavirus analizzando anche la condizione pregressa del paziente: l'età anagrafica o, ad esempio, la presenza di patologie croniche pregresse.

«Negli ultimi giorni per i casi con una sintomatologia chiara - spiega Pier Luigi Bartoletti, segretario provinciale della Fimmg, la Federazione italiana dei medici di famiglia - i dottori per evitare che la situazione possa degenerare, valutano la prescrizione immediata di antibiotici». Se infatti l'indicazione primaria era quella di assumere paracetamolo e vedere l'evoluzione della sintomatologia nell'arco di 72 ore, al fine di ridurre l'incidenza sui ricoveri e sui trattamenti ospedalieri, i medici hanno iniziato a trattare con i farmaci i sintomi, prescrivendo un macrolide (1 compressa al giorno per 6 giorni) o un antimalarico a base di idrossiclorochina (2 compresse al giorno per 10 giorni da non assumere se si è affetti da favismo).
 


L'EVOLUZIONE
Può capitare però che l'evoluzione della sintomatologia non migliori. Cosa deve fare allora il paziente? Sempre attraverso il medico di famiglia che lo ha in cura viene attivato a quel punto il Sisp, il servizio igiene sanità pubblica dell'Asl di riferimento con la specifica caso sospetto di Covid. Il paziente viene preso in carico anche dal personale dell'azienda sanitaria che monitora il cittadino vedendo l'evoluzione dei sintomi: se la febbre persiste o se la tosse e il senso di affanno non tendono a diminuire. E nel caso in cui non si presentino miglioramenti, si decide il trasferimento in ospedale attraverso un'ambulanza a bio-contenimento verso il centro Covid territorialmente più vicino. C'è poi lo scenario migliore ovvero quello per cui dopo qualche giorno di febbre la condizione migliora, segnale che i sintomi erano ascrivibili a una comune influenza e non al coronavirus.

L'APPROCCIO
È importante - e su questo i medici sono chiari - descrivere durante le prime fasi in maniera compiuta e circoscritta anche i rapporti che il paziente può aver avuto nei 14 giorni precedenti alla manifestazione dei sintomi, per capire se può aver o meno contratto il virus anche da portatori sani. «Ciò che è importante - conclude Bartoletti - è riuscire a mantenere la calma in una condizione dove nessuno è lasciato solo e dove tutta la compagine medico-infermieristica sta lavorando per contrastare e contenere la propagazione del virus».

Lo stesso protocollo è previsto anche per i pazienti in età pediatrica: ovvero i bambini che, pur essendo meno esposti al virus secondo le statistiche, possono comunque contrarre il virus. È bene che i genitori, seguendo la stessa procedura stabilita per gli adulti, si attivino con i pediatri di base, sottoponendo chiaramente la sintomatologia del bambino all'attenzione dello specialista.

Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 11:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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