Covid19, Richeldi: «Deleterio riaprire tutto subito, l'andamento è ancora imprevedibile»

Giovedì 9 Aprile 2020 di Mauro Evangelisti
Covid19, Richeldi: «Effetti deleteri se riprende tutto subito l'andamento è ancora imprevedibile»

«Mi pare che sia abbastanza scontato: riaprire tutto troppo in fretta avrebbe effetti deleteri.

Lo ha detto anche il professor Rezza dell'Istituto superiore della Sanità nella conferenza stampa dell'altro giorno: servono cautela e prudenza. Bene, io concordo: servono cautela e prudenza». Il professor Luca Richeldi, direttore di Pneumologia al Policlinico Gemelli di Roma, è uno dei membri del comitato tecnico scientifico sul coronavirus che, anche nell'incontro di martedì, ha descritto la situazione al governo e spiegato che, sia pure in presenza di un rallentamento dei nuovi casi di contagiati e addirittura di una diminuzione dei ricoverati, sarebbe un imperdonabile errore pensare di tornare alla normalità dall'oggi al domani.




La prudenza è motivata anche da un fatto, professor Richeldi: ci troviamo ad avere a che fare con una malattia che, sia pure in una minoranza dei casi positivi, si è dimostrata molto aggressiva.
«Ci sono degli elementi di imprevidibilità, osserviamo pazienti che sembrano piuttosto stabili e poi hanno dei peggioramenti considerevoli. Ricordiamoci che stiamo parlando di un virus che fino a quattro mesi fa non avevamo neppure sui libri. Abbiamo una polmonite con delle caratteristiche se non uniche comunque specifiche».

Questa imprevidibilità rende tutto più difficile.
«Possiamo sapere quale paziente è maggiormente a rischio, l'anziano, l'immunodepresso, certo. Però possiamo avere due pazienti della stessa età che si presentano insieme in pronto soccorso: uno peggiora e l'altro no. Ancora non abbiamo ancora capito cosa costituisca un fattore decisivo in un senso o nell'altro».

A volte ci sono pazienti giovani e in apparente buona salute, che non ce la fanno.
«C'è un elemento che accomuna diversi casi di questo tipo, ma su cui servono approfondimenti. Sembrano avere una prognosi peggiore gli uomini un po' sovrappeso. Ma ripeto: ad oggi siamo solo nella fase dell'osservazione, dovremo studiare meglio i dati per comprendere se vi sia una correlazione tra alcune caratteristiche dei pazienti meno anziani e senza patologie e un determinato esito della malattia».

Il Comitato tecnico scientifico, di cui anche lei fa parte insieme a un folto gruppo di esperti, sta lavorando per organizzare una campagna di test sierologici a campione, che ci facciano comprendere in quanti nel nostro Paese siano venuti a contatto con il coronavirus. Quanto possono essere utili?
«Saranno molto utili, purché sia chiaro che saranno studi epidemiologici. Ci serviranno a capire quanto il contagio è diffuso in Italia, sempre ovviamente che siano test affidabili: questa deve essere la base di partenza, altrimenti è tutto inutile».

Rischia di essere un problema non da poco.
«Non ci deve sorprendere che siamo ancora nella fase di validazione di questi test sierologici: il virus è nuovo, ovviamente non c'erano prima della sua comparsa. Serviranno dei tempi tecnici per validare i test, è normale. È importantissimo che si usino quelli giusti, con risultati corretti. Se si puntasse su un tipo di esame inaccurato, sarebbe un'operazione controproducente. Comunque, allo stato questi test non ci serviranno per dire facciamo dei provvedimenti differenziati per chi è negativo e per chi è positivo, non sarebbe possibile».

I campioni di popolazione come saranno scelti?
«Lo studio sarà definito dall'Istituto superiore di sanità, il campione dovrà essere il più rappresentativo possibile della popolazione italiana, con attenzione particolare per anziani e immunodepressi, le categorie più suscettibili».

Ci daranno indicazioni per gestire la fase due?
«Il risultato sarà un elemento in più. Utile. Ma non si potrà decidere solo sulla base di quello».
 
 
 
 

Ultimo aggiornamento: 12:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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