Consulta: no al referendum sull'articolo 18. Sì al quesito sui voucher e sugli appalti

Mercoledì 11 Gennaio 2017
Consulta: no al referendum sull'articolo 18. Sì al quesito sui voucher e sugli appalti
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ROMA Tra il 15 aprile e il 15 giugno si tornerà alle urne, ma non si voterà per l'abrogazione del jobs act. La Corte Costituzionale si è spaccata, come era previsto, e alla fine la decisione di dichiarare inammissibile il quesito politicamente più delicato, sul quale si giocava la partita delle elezioni anticipate, è passata per otto voti a cinque. Saranno le motivazioni, che arriveranno entro il 10 febbraio, a chiarire le ragioni della sentenza, probabilmente legata alla natura «manipolativa» del quesito sui licenziamenti. Ma non è escluso che la relatrice Silvana Sciarra, favorevole all'ammissibilità del quesito, decida di non firmare con un gesto politicamente significativo. Dopo due ore e mezza di udienza camerale, i tredici giudici della Consulta (era assente l'ex presidente Alessandro Criscuolo) hanno invece dato il via libera agli altri due quesiti, sui voucher e sulla responsabilità solidale in materia di appalti. Erano 3,3 milioni le firme raccolte dal sindacato di Susanna Camusso, che denuncia «pressioni senza precedenti» e annuncia il ricorso a Strasburgo. La prossima partita si gioca sulla decisione del 24 gennaio, che potrebbe avere inciso sulla scelta di ieri. La Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell'Italicum, il rischio di elezioni anticipate, nel caso di un via libera al referendum sull'articolo 18, avrebbe reso più incerto il quadro e difficile il dibattito sulla nuova legge elettorale.

I QUESITI
Si voterà per l'abolizione dei voucher, i buoni per il lavoro accessorio ampliati dal jobs act, il cui utilizzo, secondo i dati Inps, è lievitato in maniera esponenziale soprattutto nel 2015 ma che, nel 2016, ha toccato quota 121,5 milioni di assegni venduti. La consultazione potrebbe saltare se, come appare, interverranno modifiche legislative, già in cantiere, purché ottengano l'ok dall'Ufficio centrale per il referendum della Cassazione, che verificherà se la nuova legge sia aderente all'istanza quesito.

Gli elettori saranno chiamati anche a pronunciarsi sul ripristino della piena responsabilità solidale tra appaltatore e appaltante nei confronti dei lavoratori. L'abrogazione riguarda la legge Biagi che, secondo il sindacato, priverebbe delle tutele i lavoratori occupati negli appalti e sub appalti coinvolti in processi di esternalizzazione. Disco rosso invece sul più politico dei quesiti, che puntava a ripristinare l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e a reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa. In particolare, la Cgil chiedeva che fosse ripristinata e ampliata la «tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo», estendendola a tutte le aziende con oltre 5 dipendenti, contro il tetto dei 15 del vecchio articolo 18. Il Jobs Act aveva superato l'articolo 18, sostituendo, per i contratti stipulati dopo il 7 marzo 2015, il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa.

LE REAZIONI
Susanna Camusso è decisa ad andare avanti nella battaglia sull'articolo 18: «Abbiamo notato in questi giorni che c'è stato un dibattito intenso sui quesiti referendari, che, a nostra memoria, non ci ricorda precedenti di analoga quotidiana pressione rispetto a come si sarebbe dovuto decidere.

Si è dato per scontato l'intervento del governo con l'Avvocatura dello Stato, ma questo non era dovuto, è stata una scelta politica. La Corte ha deciso di non ammettere uno dei quesiti. Noi siamo convinti che la libertà dei lavoratori passi attraverso la loro sicurezza. Valuteremo la possibilità di ricorrere alla Corte Europea». E sollecita il governo a fissare in tempi stretti la data del referendum. Non entra nel merito della sentenza, ma attacca, Luigi Di Maio, vicepresidente M5s della Camera: «In primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher. Sarà la spallata definitiva al Pd, a quel partito che ha massacrato i lavoratori più di qualunque altro e mentre lo faceva osava anche definirsi di sinistra». A sollecitare interventi legislativi, anche sui licenziamenti, è invece Pierluigi Bersani: «Adesso la palla passa al governo e al Parlamento che devono intervenire. Ho sempre detto che se non un articolo 18, almeno un 17 e mezzo ci vuole», ha spiegato l'ex segretario Pd conversando alla Camera e aggiungendo: «I governi vivono finché lavorano».

Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 20:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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