L'ex ministro Claudio Scajola arrestato. La procura di Reggio Calabria: «Ha favorito la latitanza dell'ex deputato di Forza Italia Matacena»

Giovedì 8 Maggio 2014
L'ex ministro Claudio Scajola arrestato. La procura di Reggio Calabria: «Ha favorito la latitanza dell'ex deputato di Forza Italia Matacena»
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La Dia di Reggio Calabria ha arrestato all'alba di oggi a Roma l'ex ministro Claudio Scajola

Le accuse E' accusato dalla Dia di Reggio Calabria di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena, ex imprenditore e politico di Forza Italia attualmente ricercato che dovrebbe trovarsi a Dubai. Scajola è stato arrestato in un albergo a Roma. L'inchiesta che coinvolge l'ex ministro, denominata Breakfast coinvolge altri 15 indagati. Tra gli arrestati anche Martino Politi, Antonio Chillemi e la segretaria di Scajola, Roberta Sacco. E ancora, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e la madre dell'imprenditore, Raffaella De Carolis. I soggetti coinvolti sono gravemente indiziati a vario titolo di aver, attraverso la loro interposizione, agevolato l'imprenditore Matacena ad occultare la reale titolarità e disponibilità dei suoi beni, nonchè di aver favorito la latitanza all'estero di quest'ultimo.

L'arresto all'alba «Sconcertato e sconvolto»: così è apparso l'ex ministro Scajola agli uomini della Dia che l'hanno arrestato all'alba in un albergo della capitale in via Veneto. Scajola ha detto di non aspettarsi il provvedimento e ha chiesto di conoscerne le motivazioni. L' ex ministro è stato portato prima negli uffici del Centro operativo della Dia di Roma, e poi trasferito nel carcere di Regina Coeli. Intanto è ancora in corso la perquisizione nell'ufficio di Claudio Scajola, in via Matteotti a Imperia.

Secondo quanto appreso, l'ufficio era già presidiato da uomini in borghese dalle prime luci dell'alba, quando sono scattati gli arresti. Quattro uomini della Dia accompagnati da una impiegata stanno cercando carte e documentazione bancaria nell'ufficio dove per anni Scajola ha tenuto riunioni e svolto la sua attività politica.

Perquisizioni Personale della Dia di Reggio Calabria sta eseguendo numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. La Dia reggina è coadiuvata dai Centri operativi e sezioni Dia di Roma, Genova, Milano, Torino, Catania, Bologna, Messina e Catanzaro. I provvedimenti restrittivi a carico di Scajola, Matacena e gli altri indagati sono stati emessi dal Gip di Reggio Calabria Olga Tarzia su richiesta della Dda diretta dal procuratore Federico Cafiero De Raho. La Direzione investigativa antimafia di Catania sta eseguendo perquisizioni, acquisendo anche documenti, pure nelle isole Eolie.

Anche Giorgio e Cecilia Fanfani, figli di Amintore Fanfani, figurano tra le persone sottoposte a perquisizione nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che ha portato all'arresto di Claudio Scajola. I due non sono indagati e vengono definiti, nel provvedimento della Dda, «soggetti di interesse investigativo risultati in contatto ed in rapporti anche di affari con gli indagati», insieme ad altre sette persone pure perquisite senza essere indagate.

Sequestrati pc e smartphone Nella villa di Scajola a Imperia gli uomini della Dia hanno sequestrato computer fissi e portatili, tablet, alcuni smartphone e documentazione cartacea relativa a alcune società riconducibili all'inchiesta su Amedeo Matacena. La Dia ha perquisito anche l'ufficio di Scajola sequestrando anche in quel luogo computer e documenti. Ad assistere alla perquisizione della villa di via Diano Calderina dell'ex ministro è stata la moglie Maria Tersa Verda, in lacrime, e l'avvocato di Scajola, Mangia.

Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria L'ex ministro Claudio Scajola «ha concorso a mantenere la latitanza di Amedeo Matacena. Si è prodigato per trovare riferimenti all'estero presso i quali l'ex parlamantare avrebbe potuto trovare ospitalità per continuare la sua latitanza». Lo dice all'Adnkronos il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho. L'operazione scattata oggi, sottolinea De Raho, «è frutto di un approfondimento sviluppato nell'ambito dell'indagine 'Breakfast' ancora in corso di approfondmento». In particolare, spiega il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, «sono emersi alcuni colloqui tra Bruno Mafrici e Amedeo Matacena: nello svillppo dell'inchiesta condotta nei confronti di Matacena, è emersa l'esistenza di un gruppo di persone che tendeva a consentire» all'ex parlamentare di Forza Italia «di sottrarsi all'esecuzione della pena, perchè era stato condannato a 5 anni di reclusione per associazine mafiosa, e nel giugno 2013 c'è stato l'ordine di carcerazione». «L'esito dell'indagine -rimarca De Raho- che ha evidenziato come un gruppo di persone si muovesse per favorire il Matacena nel sottrarsi al'esecuzione della pena. Da qui l'ordinanza».

La latitanza di Matacena Claudio Scajola stava cercando di fare uscire Amedeo Matacena dal Dubai, dove si trova attualmente, per farlo andare in Libano dove sarebbe stato al sicuro dall'arresto per l'esecuzione pena per la condanna a 5 anni subita per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo essere fuggito dall'Italia, infatti, Matacena ha girato alcuni Paesi fino ad arrivare negli Emirati Arabi Uniti dove era stato arrestato dalla polizia locale al suo arrivo all'aeroporto di Dubai su segnalazione delle autorità italiane. Pochi giorni dopo, però, Matacena è tornato in libertà in quanto non è stata completata la procedura di estradizione in Italia. La giurisdizione degli Emirati arabi, dove non esiste il reato di criminalità organizzata e con i quali l'Italia non ha accordi bilaterali, prevede che i cittadini stranieri in attesa di estradizione non possano essere privati della libertà oltre un certo limite di tempo. Matacena non poteva però lasciare il Paese arabo in quanto privato del passaporto. Per la giustizia italiana è rimasto un latitante. È in questa fase, secondo l'accusa, che sarebbe intervenuto Scajola che avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano. Gli altri arrestati, invece, stavano cercando di sistemare dei factotum di Matacena al vertice di alcune società.

Stavano schermando le società della famiglia Matacena per impedire l'aggressione dell'autorità giudiziaria ma l'indagine della Direzione distrettuale antimafia ha scoperto il tentativo e disposto il sequestro di società e beni per cinquanta milioni di euro nell'ambito della stessa operazione che ha portato all'arresto dell'ex ministro Claudio Scajola. I soggetti vicini alla famiglia Matacena stavano predisponendo passaggi societari con società offshore residenti in paradisi fiscali. Devono rispondere del reato di intestazione fittizia di beni Amedeo Matacena, la moglie Chiara Rizzo, il suo factotum Martino Antonio Politi, Antonio Chillemi e la madre dell'ex deputato Raffaella De Carolis. Il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto il sequestro preventivo della Amadeus spa, della Solemar srl, della Ulisse Shipping srl, della Lidico srl, della Seafuture sa, della New Life srl, della Xilo sa.

Filone di indagine su Belsito e Lega L'inchiesta che ha portato all'arresto dell'ex ministro Claudio Scajola rappresenta un troncone di una indagine molto più ampia coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, denominata «Breakfast». L'indagine, nell'aprile del 2012, ha portato i magistrati reggini ad indagare l'allora tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito ed altre persone. Indagando sui reinvestimenti di capitali illeciti movimentati dalla 'ndrangheta in Italia e all'estero, gli investigatori della Dia di Reggio Calabria, coordinati dal pm Giuseppe Lombardo, eseguirono una serie di perquisizioni a carico di varie persone. Tra queste l'imprenditore veneto Stefano Bonet, il procacciatore di affari Romolo Girardelli, detto 'l'ammiragliò e ritenuto dagli investigatori vicino alla 'ndrangheta, e il consulente Bruno Mafrici, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) ma residente a Milano. L'indagine è ancora in corso. L'ipotesi formulata dagli inquirenti è che Belsito abbia chiesto il supporto di una società fiduciaria con sede a Lugano per la predisposizione di strutture societarie attraverso le quali giustificare il trasferimento all'estero di denaro tenuto in Italia. Gli inquirenti sono anche a caccia di un conto cifrato in Svizzera che potrebbe essere stato messo a disposizione degli emissari milanesi della famiglia di 'ndrangheta dei De Stefano di Reggio Calabria per riciclare il denaro. L'inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ipotizza che tra i fondi neri della Lega finiti all'estero vi possa essere anche il denaro frutto degli affari illeciti della cosca De Stefano, fatto confluire nella massa di denaro gestita da Belsito allo scopo di riciclarlo e ripulirlo per nuovi investimenti.

L'ex deputato Amedeo Matacena è stato condannato a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa perchè ritenuto vicino alla cosca di 'ndrangheta dei Rosmini. La condanna è divenuta definitiva il 6 giugno 2013 con la sentenza della Cassazione. Noto imprenditore, non solo calabrese, Amedeo Matacena è figlio dell'omonimo armatore, noto per avere dato inizio al traghettamento nello Stretto di Messina e morto nell'agosto 2003. In Parlamento è stato eletto due volte, tra il 1994 e il 2001, con Forza Italia. I suoi guai giudiziari sono cominciati con la maxi inchiesta «Olimpia» con la quale, nei primi anni '90, la Dda di Reggio Calabria ricostruì molti eventi criminali, tra cui un centinaio di omicidi, e i rapporti 'ndrangheta-politica in città fin dai primi anni '80. Nel 2010, dopo la condanna in primo grado, Matacena è stato assolto dalla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria. La Corte di Cassazione, accogliendo un ricorso della Procura generale, annullò però la sentenza disponendo il rinvio ad un altro collegio. E nel nuovo processo d'appello, il 18 luglio 2012, è arrivata la condannata, divenuta definitiva con la decisione della Cassazione. Motivando la loro decisione, i giudici della Cassazione hanno sostenuto che «evidentemente non si può stringere un 'accordò con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal 'pizzo')». Non solo, nelle motivazioni si sostiene anche che «è lo stesso vertice della cosca che afferma che Matacena non può essere sottoposto a estorsione, che in passato lo stesso ha 'sempre favoritò l'associazione, che, anche nel presente, Matacena è disponibile».

La Dia di Genova ha notificato l'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari oltre che alla segretaria di Scajola, Roberta Sacco, 43 anni, anche a Maria Grazia Fiordelisi, 52 anni, segretaria di Amedeo Matacena. La donna è stata trovata stamani nella sua abitazione a Sanremo. Tra i perquisiti anche altre due persone non indagate.

Vincenzo Speziali nipote e omonimo dell'ex senatore del Pdl, è indagato nell'inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato all'arresto dell'ex ministro Claudio Scajola. Il suo nome figura in un decreto di perquisizione insieme a quello degli otto arrestati che in questo atto sono accusati di associazione a delinquere e associazione mafiosa. Speziali, in particolare, grazie al matrimonio con una parente dell'ex presidente libanese Amin Gemayel, secondo l'accusa avrebbe goduto di notevoli entrature in quel Paese, dove avrebbe dovuto rifugiarsi Amedeo Matacena. Dal decreto di perquisizione emerge che a Speziali si sarebbe rivolto in più occasioni Scajola.

«Non ho niente a che fare con Amedeo Matacena, non so dove si trovi e Scajola non mi ha mai chiesto nulla in proposito». Lo ha detto all'ANSA Vincenzo Speziali, residente a Beirut e destinatario di un avviso di garanzia nell'inchiesta ad un presunto intervento dell'ex ministro per fare rifugiare in Libano l'ex deputato calabrese.

«Non c'è nessuna parentela tra mia moglie e l'ex presidente libanese Amin Gemayel», ha aggiunto Vincenzo Speziali.

«Certo che Scajola si è rivolto a me, ma solo perché sembrava potesse essere candidato alle europee e io potessi collaborare alla sua campagna». Lo ha detto all'ANSA Vincenzo Speziali, spiegando così quanto contenuto nel decreto di perquisizione ricevuto oggi secondo il quale l'ex ministro si sarebbe rivolto in più occasioni a lui.

Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 08:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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