Carlo Alberto dalla Chiesa, 40 anni fa l'agguato mafioso che costò la vita anche alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente Domenico Russo

Sabato 3 Settembre 2022
Carlo Alberto Dalla Chiesa, 40 anni l'agguato che costò la vita anche alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente Domenico Russo

La sera del 3 settembre di 40 anni fa Emanuela Setti Carraro alla guida della sua A112 bianca andò a prendere alla prefettura di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa che aveva sposato il prefetto meno di due mesi prima. Dietro l'utilitaria l'auto di scorta con il loro autista e l'agente Domenico Russo.

La raffiche di kalashnikov e i colpi di pistola in via Carini dei killer di Cosa Nostra non lasciarono scampo all'ex generale dei carabinieri, alla moglie e all'agente. morto alcuni giorno dopo in ospedale.

Al funerale, davanti a esponenti politici nazionali contestati dalla folla che risparmiò solo il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il cardinale Salvatore Pappalardo citò Sallustio: «Mentre Roma discute, Palermo è espugnata». All'ergastolo, quali mandanti dell'agguato, vennero condannati i boss Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.

Lo scenario del 1982

Nella lotta al terrorismo e nella sfida alla mafia, i due fronti che lo impegnarono tra gli anni Settanta e Ottanta, Carlo Alberto dalla Chiesa adottò la linea di un innovatore. All'organizzazione da colpire oppose la capacità di sviluppare una risposta basata su conoscenze specifiche raccolte da gruppi investigativi specializzati. Metodi e strategie del superprefetto, ucciso 40 anni fa dai sicari di Cosa nostra, sono ora ripercorsi dallo storico Vittorio Coco nel libro «Il generale Dalla Chiesa, il terrorismo, la mafia», edito da Laterza.

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L'azione di Dalla Chiesa, osserva Coco, si organizzò in sinergia con la magistratura, che adottò gli stessi criteri costituendo anch'essa gruppi specializzati come i pool. Queste innovazioni furono accompagnate da una normativa premiale, anch'essa innovativa, che aprì la strada al «pentitismo». Per le Brigate rosse fu l'inizio della fine. Ma il fenomeno avrebbe permesso di assestare un duro colpo anche a Cosa nostra.

Vengono da lì le grandi inchieste del pool Falcone e Borsellino. Il cartello «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti», apparso subito dopo la strage di via Carini, era la testimonianza delle grandi aspettative riposte nella venuta, che era un ritorno, di Dalla Chiesa a Palermo. Ma il consenso spontaneo degli «onesti» dovette fare i conti con un fronte ostile anche all'interno degli apparati di sicurezza.

Si continuava a guardare, secondo Coco, agli organismi creati dal superprefetto come a «una pericolosa eccezione, nell'ambito del mai sopito conflitto tra strumenti ordinari e straordinari».

C'era poi la galassia del «garantismo», che con Leonardo Sciascia segnalava analogie con il caso di Cesare Mori, il superprefetto inviato a Palermo da Mussolini. Ma era un confronto sui metodi non certo sugli obiettivi di Dalla Chiesa verso il quale lo scrittore manteneva una «antica considerazione». E c'erano infine coloro che «difendevano interessi specifici, come alcuni esponenti della Dc siciliana compromessi con la mafia».

E proprio in Sicilia l'uomo che nella lotta al terrorismo si era attirato il dubbio di tessere trame si è trasformato in colui che invece i complotti li ha subiti. Tanto da alimentare la convinzione che si decise di mandarlo a Palermo senza poteri «per liberarsi di lui e dei segreti di cui era in possesso».

Il presidente Mattarella

«La uccisione, quaranta anni or sono, del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, il ferimento mortale dell'agente Domenico Russo, deceduto alcuni giorni dopo, gettarono Palermo, la Sicilia, il Paese intero nello sgomento. Ancora una volta la ferocia della violenza criminale mafiosa, in un crescendo di arroganza, non risparmiava un servitore della Repubblica né le persone che avevano l'unica colpa di essergli vicine». Lo scrive in un messaggio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

«Quell'estremo gesto di sfida contro un eroe del nostro tempo, un Carabiniere protagonista della difesa della democrazia contro il terrorismo - sottolinea -, si ritorse contro chi lo aveva voluto. La comunità nazionale, profondamente colpita da quegli avvenimenti, seppe reagire dando prova di compattezza e di unità d'intenti contro i nemici della legalità, delle istituzioni, della convivenza civile. Strumenti più incisivi di azione e di coordinamento vennero messi in campo, facendo tesoro delle esperienze di Dalla Chiesa, rendendo più efficace la strategia di contrasto alle organizzazioni mafiose. Quello sforzo fu sostenuto e accompagnato da un crescente sentimento civico di rigetto e insofferenza verso la mafia, che pretendeva di amministrare indisturbata i suoi traffici, seminando morte e intimidazione. Commozione e sdegno alimentarono le speranze dei siciliani onesti, ne rafforzarono il rifiuto della prepotenza criminale».

«La lezione di vita del Prefetto Dalla Chiesa, la memoria delle vittime di quel vile attentato - prosegue il Capo dello Stato - vivono nell'impegno delle donne e degli uomini che nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione operano per la difesa della legalità, dei giovani che vogliono costruire una società più giusta e trasparente, dei tanti cittadini che, consapevoli dei loro diritti e doveri, avversano responsabilmente la cultura della sopraffazione e della prevaricazione. Nel rendere omaggio al ricordo di quell'estremo sacrificio, rinnovo alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo la solidale vicinanza mia e dell'intero Paese».

Ultimo aggiornamento: 16:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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