Sciopero sindacati contro la Manovra, l'ira di Draghi: «È immotivato»

Lunedì 6 Dicembre 2021 di Diodato Pirone
Sciopero sindacati contro la Manovra, l'ira di Draghi: «È immotivato»

La fortissima irritazione del premier Mario Draghi per lo sciopero generale di Natale indetto da Cgil e Uil si basa su un rimo elemento squisitamente politico e personale.

La mossa sindacale rompe il rapporto di "buon vicinato" instaurato da Draghi con le confederazioni. Fin da quando era governatore della Banca d'Italia, l'attuale premier ha sempre coltivato un rapporto stretto con i massimi dirigenti sindacali riconoscendo alle Confederazioni un ruolo strategico e rappresentativo nella definizione delle linee della politica economica nazionale. Quando è diventato presidente del Consiglio questa sua attitudine - peraltro rilanciata lungo linee che furono percorse da Carlo Azeglio Ciampi nel '93 e poi al momento dell'ingresso dell'Italia nell'euro -  è emersa con nettezza. Tutti ricordano a ottobre l'abbraccio caloroso offerto al segretario della Cgil, Maurizio Landini, quando Draghi si presentò alla sede della Cgil devastata da alcuni squadristi di Forza Nuova durante una manifestazione di protesta contro le misure anti-Covid prese dal governo.

Quell'abbraccio intendeva avere una valenza politica fortissima e probabilmente era inteso come un tassello preparatorio del patto fra le forze sociali che prima la Confindustria di Carlo Bonomi e poi lo stesso premier hanno cercato di lanciare nelle scorse settimane. Ora è tutto azzerato. E nella tela pazientemente tessuta dal premier il buco già aperto dalle critiche della Confindustria ("la manovra non è coraggiosa") si allarga ulteriormente anche se la Cisl non aderirà allo sciopero. Draghi però non crede di meritare attacchi così pesanti.

A ben vedere, le durissime espressioni trapelate ieri da Palazzo Chigi ("La manovra è espansiva. Non c'è governo che abbia fatto di più per i lacvoratori e i pensionati e le cifre lo dimostrano") lasciano intravedere una delusione profonda del premier persino sul piano personale verso i gruppi dirigenti di Cgil e Uil. Draghi nelle scorse settimane ha ricevuto più volte i sindacati e ha aggiustato la manovra con un taglia e cuci che se non ha copia-incollato le loro proposte ha previsto 7 miliardi di taglio dell'Irpef (contro la sforbiciata di un miliardo dell'Irap a carico delle imprese) e una riduzione di quasi il 10% dei contributi Inps per i redditi dei dipendenti fino a 35.000 euro lordi.

A far pendere la bilancia di Cgil e Uil a favore dello sciopero generale è stato certamente il tema delle pensioni. Draghi non ha confermato quota 100 e ha alzato l'asticella a quota 102 lasciando uno spiraglio per 20/30 mila prepensionamenti giudicati insufficienti dalle Confederazioni. Il premier del resto è sempre stato contrario ad un aumento della spesa previdenziale perché assorbe troppe risorse rispetto a quelle destinate alla scuola e ai giovani.

Ora resta da capire quale sbocco avrà questa imprevista impennata di tensione sociale dopo mesi nei quali, grazie al rimbalzo del Pil e ai primi miliardi del Pnrr versati dall'Ue, il clima complessivo del Paese si è girato verso il bello. Un tempo, la prima volta accadde nell'anno 1900 con il governo Saracco, gli scioperi generali facevano cadere gli esecutivi italiani. Questa volta è impossibile che accada. Ma la ferita è profonda e ricomporla sarà molto complicato, non solo sul piano politico ma anche per la fiducia personale fra i protagonisti di ciò che resta della classe dirigente italiana. 

Ultimo aggiornamento: 23:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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