La fortissima irritazione del premier Mario Draghi per lo sciopero generale di Natale indetto da Cgil e Uil si basa su un rimo elemento squisitamente politico e personale.
Quell'abbraccio intendeva avere una valenza politica fortissima e probabilmente era inteso come un tassello preparatorio del patto fra le forze sociali che prima la Confindustria di Carlo Bonomi e poi lo stesso premier hanno cercato di lanciare nelle scorse settimane. Ora è tutto azzerato. E nella tela pazientemente tessuta dal premier il buco già aperto dalle critiche della Confindustria ("la manovra non è coraggiosa") si allarga ulteriormente anche se la Cisl non aderirà allo sciopero. Draghi però non crede di meritare attacchi così pesanti.
A ben vedere, le durissime espressioni trapelate ieri da Palazzo Chigi ("La manovra è espansiva. Non c'è governo che abbia fatto di più per i lacvoratori e i pensionati e le cifre lo dimostrano") lasciano intravedere una delusione profonda del premier persino sul piano personale verso i gruppi dirigenti di Cgil e Uil. Draghi nelle scorse settimane ha ricevuto più volte i sindacati e ha aggiustato la manovra con un taglia e cuci che se non ha copia-incollato le loro proposte ha previsto 7 miliardi di taglio dell'Irpef (contro la sforbiciata di un miliardo dell'Irap a carico delle imprese) e una riduzione di quasi il 10% dei contributi Inps per i redditi dei dipendenti fino a 35.000 euro lordi.
A far pendere la bilancia di Cgil e Uil a favore dello sciopero generale è stato certamente il tema delle pensioni. Draghi non ha confermato quota 100 e ha alzato l'asticella a quota 102 lasciando uno spiraglio per 20/30 mila prepensionamenti giudicati insufficienti dalle Confederazioni. Il premier del resto è sempre stato contrario ad un aumento della spesa previdenziale perché assorbe troppe risorse rispetto a quelle destinate alla scuola e ai giovani.
Ora resta da capire quale sbocco avrà questa imprevista impennata di tensione sociale dopo mesi nei quali, grazie al rimbalzo del Pil e ai primi miliardi del Pnrr versati dall'Ue, il clima complessivo del Paese si è girato verso il bello. Un tempo, la prima volta accadde nell'anno 1900 con il governo Saracco, gli scioperi generali facevano cadere gli esecutivi italiani. Questa volta è impossibile che accada. Ma la ferita è profonda e ricomporla sarà molto complicato, non solo sul piano politico ma anche per la fiducia personale fra i protagonisti di ciò che resta della classe dirigente italiana.