Quirinale, Mancini, Al Bano e Frassica: quel vizio delle schede farsa

Altra fumata nera a Montecitorio: più voti dispersi, oggi si replica alle 11

Mercoledì 26 Gennaio 2022 di Mario Ajello
Quirinale, Mancini, Al Bano e Frassica: quel vizio delle schede farsa

Ci sono sempre stati i voti-farsa, i voti-sberleffo, la goliardia o lo sparo da franco tiratore di scrivere sulla scheda - contro Fanfani - «nano maledetto non sarai mai eletto». E però. Non c’è un Pnrr da mandare avanti, ora? Non esiste un tema che si chiama ricostruzione italiana? Non dobbiamo uscire dalla pandemia e ripartire di slancio, anche perché chi si ferma è perduto? Ma soprattutto: grazie a Mattarella ci siamo affidati a un personaggio come Draghi che - comunque la si pensi - non ci fa sfigurare nel mondo e converrebbe mantenere questa reputazione senza sporcarla scherzando o abbandonandosi a sfoghi parlamentari improntati al sorriso o al vaffa e degradandosi a Paese con una classe politica la quale - mentre i cittadini vogliono chiudere al più presto il dossier elezione presidenziale e avere risposte su come ricreare lavoro, affari e futuro - si lancia in diversivi e in goliardie come quelle di votare i calciatori o gli allenatori di calcio per succedere all’attuale Capo dello Stato.

Ma è mai possibile un tale livello di auto-degradazione dell’orgoglio patriottico e di populismo anti-politico in piena votazione per il nuovo rappresentante massimo dell’Italia? 

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Segnali e sberleffi

E tuttavia, al netto di tutti questi discorsi così virtuosi ma evidentemente anche minoritari, ieri al secondo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica i voti-farsa si sono ripetuti come schiaffo alla serietà e all’esigenza di fare presto e bene. Si prevedeva: molti voteranno per Mattarella, che ha detto di non essere in gara e lo ha ripetuto per 15 volte in ogni occasione e dappertutto, per sottolineare uno scontento verso i partiti che non sanno chi candidare e che cosa decidere. Il voto a Mattarella poteva essere un segnale politico serio, da parte della destra e della sinistra che volevano dire alla destra e alla sinistra di trovare una soluzione sennò l’unica opzione restava quella del bis improbabilissimo. Ma neppure questa prova di lucidità si è stati capaci di esercitare. Soltanto 39 voti per Mattarella (a pari merito con quelli per il giudice Maddalena, sponsorizzato in un remake di Rodotà-tà-tà dagli ex grillini) e 18 voti per Renzo Tondo, 17 per voti Roberto Cassinelli, 14 voti per Ettore Rosato, 12 voti per Bossi (si sono raddoppiati rispetto alla prima votazione), 8 voti per Cartabia sponsorizzata da Calenda (anche con messaggi WattsApp agli amici parlamentari di ogni partito) e altrettanti Giorgetti («Giancarlo io prendo più voti di te, vergognati!», ha scherzato Bossi con il ministro dello Sviluppo Economico, lumbard quanto il Senatur) e il sociologo Luigi Manconi scelto dai garantisti di sinistra. Sette preferenze sono andate a Moles e a Berlusconi. Bersani si ferma a quota 6 come il giudice Gratteri, e l’ex democristiano Generoso Serafino prende 5 voti come Pianasso. Fra gli altri: 4 voti vanno a Draghi e al radicale Cappato ma anche a Enrico Ruggeri il cantante e a San Gregorio il patrono. Sono tre le schede per Alberto Angela, Belloni e Casellati così come per Rutelli. Due voti sono per il giornalista Fulvio Abate e per Giletti come per Amato, Razzi (che ha chiesto agli amici: «Votatemi») e l’ex ministro Giulio Tremonti. Siamo nella linea Al Bano-Frassica-Mancini di questa elezione presidenziale.

Giocare, prendere tempo. Va bene - perché i giochi si fanno alla fine e la zona Quirinale è la zona Cesarini - ma un briciolo di assunzione di responsabilità in più non guasterebbe. Se non altro per non dare l’impressione al Paese che i grandi elettori sono anche grandi sperperatori di tempo e di energie. È tradizione che nelle prime votazioni si punti anche su personaggi improbabili. Nel 2015, furono segnalati tanti nomi “particolari” come quelli di Sabrina Ferilli, Enzo Greggio, Gianfranco Magalli. All’epoca era piaciuto molto, e ora rieccolo, Antonio Razzi il “responsabile” per eccellenza, figura tra il pop e l’andante a cui provò ad affidarsi Berlusconi per la sopravvivenza del suo governo (il compare Scilipoti, ricomparso in queste ore alla Camera non ha ottenuto suffragi). E ancora nel 2015: successone parlamentare per il Pupone, alias Francesco Totti, il Capitano (poi il soprannome glielo avrebbe rubato Salvini ma ormai lo ha perso anche lui). Ora, Angela ma anche Alessandro Barbero, lo storico. E alla prima votazione perfino Craxi ha avuto qualche consenso, oltre al governatore De Luca. 

No fiasco

E ancora tra l’altro ieri e ieri, nomi letti da Roberto Fico al momento dello spoglio: Giuseppe Cruciani il giornalista radiofonico, Claudio Lotito la cui lettura del nome ha scatenato un coretto in Transatlantico davanti al video dell’emiciclo («Forza Lazieeeee», grido bipartisan) e ancora: Mauro Corona («Toglietegli il fiasco! E liberate la Berlinguer!», hanno chiesto quelli del Pd). Per non dire degli scrutini in favore di Amadeus. Ma se Sanremo è Sanremo, il Colle dovrebbe essere il Colle e non uno show.
 

Ultimo aggiornamento: 07:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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