Pd, cambierà nome? Pdl o Padel, tra i dem si riapre il dibattito: «Chiamiamolo Partito del Lavoro»

A (ri)lanciare la discussione, nel giorno in cui i dem celebrano l'assemblea nazionale che benedirà il nuovo statuto, è uno dei big della sinistra interna, Andrea Orlando

Domenica 22 Gennaio 2023 di Andrea Bulleri
Schlein apre, De Micheli e Bonaccini frenano: «Basta discussioni incomprensibili». E c'è chi cita Romeo e Giulietta

Sarà Partito del Lavoro (acronimo: Pdl, o magari Padel)? Oppure un'altra formula? Proprio quando la discussione sembrava archiviata, con la sfida tra i quattro candidati segretari pronta a decollare, ecco che nel Pd torna prepotente un tema a monopolizzare il dibattito interno: quello sul cambio del nome.

A (ri)lanciare la discussione, nel giorno in cui i dem celebrano l'assemblea nazionale che benedirà il nuovo statuto, è uno dei big della sinistra interna, Andrea Orlando. Che arrivando all'Antonianum di Roma, esordisce così: «Chiedere di cambiare il nome per chiamarlo "partito del lavoro" non è un fatto di forma ma di sostanza». 

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Il Pd cambierà nome?

Dunque, partito del lavoro: tradotto in acronimo, Pdl? La sola ipotesi fa trasalire praticamente tutti in casa dem. Perché il Pdl, fino a non molto tempo fa, era la sigla che identificava il Popolo della Libertà, il partito fondato da Silvio Berlusconi nel 2008 per "archiviare" Forza Italia (poi rimesso in cantina nel 2013, quando il Cavaliere è tornato al vecchio nome col simbolo tricolore). «Chiamiamolo Padel», aveva proposto, tra il serio e il faceto, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, anche lui convinto che sia ora di una svolta. Padel, come lo sport che  in Italia spopola ovunque da qualche anno a questa parte. Che fosse un modo per far godere di altrettanta popolarità il Pd? 


IL DIBATTITO
Sta di fatto che l'idea ha innescato un'ondata di sberleffi e ironie social ("ma sì, datevi al Padel che è meglio", il commento più generoso). E dunque anche questa opzione è stata accantonata. Sembrava una questione messa da parte, ormai. Ma ecco che il nodo-nome torna prepotente sulla scena. Insiste Orlando: «Chi propone di chiamarlo Partito del lavoro propone di richiamare il tema del lavoro. Non è una questione di forma, ma di sostanza. E' una discussione da fare insieme ma tutt'altro che banale». Si aggiunge un altro esponente di peso della sinistra come il vicesegretario Peppe Provenzano, possibilista: «Ho detto solo di far decidere gli iscritti, perché non possiamo decidere in dieci persone. Mi ha colpito la reazione stizzita di alcuni candidati che dicono di voler dare più voce agli iscritti e addirittura propone un partito laburista». 

E poi, sulla stessa linea, la candidata al Nazareno Elly Schlein: «Cambio del nome? Sottoponiamo la questione agli iscritti». Le risponde piccata la sfidante Paola De Micheli: «Con tutti i problemi che abbiamo dobbiamo occuparci di questo? Soltanto chi sta facendo il praticantato nel Pd poteva chiedere il cambio del nome...». Chiude anche Stefano Bonaccini: «Basta discussioni incomprensibili - ripete - Del nome me lo chiedono solo i giornalisti, non ho trovato un cittadino, un elettore che ponesse il problema di cambiare nome: tanti, invece, chiedono di cambiare politiche, classe dirigente e di ascoltare la base». 

LE DIVISIONI
Morale: Pd diviso, di nuovo. Se sarà una nuova Bolognina, la svolta con cui cominciò la trasformazione da Partito comunista a Pds, lo si scoprirà nelle prossime settimane (anche in base a come andrà il congresso). Intanto, però, c'è già qualche dirigente dem tra i riformisti più romantici che ricorda le parole di Romeo a Giulietta: «Che cos'è un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso profumo...». Come a dire: meglio che prima recuperiamo i voti persi, e poi pensiamo al nome. 

Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 09:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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