Ilva, offensiva di pm e governo: poche alternative, Conte in trincea

Sabato 16 Novembre 2019 di Alberto Gentili
Ilva, offensiva di pm e governo: poche alternative, Conte in trincea

A palazzo Chigi e al ministero della Giustizia negano qualsiasi contatto con il procuratore capo di Milano, Francesco Greco. E' però rumoroso nelle stanze del governo il tifo per i magistrati milanesi che hanno sganciato una bomba nel contenzioso con ArcelorMittal: «Ben venga l'iniziativa delle Procura», festeggia Giuseppe Conte. Ed è evidente che la mossa di Greco dà forza e sostegno all'esecutivo nella «battaglia legale del secolo» contro il gruppo franco-indiano annunciata dal premier e dal ministro dello Sviluppo economico (Mise), Stefano Patuanelli.

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L'offensiva lanciata dalla Procura meneghina si muove sui binari scelti dal governo e dai commissari dell'ex Ilva. Con il fascicolo esplorativo, senza titoli di reato né indagati, Greco vuole capire se sono stati commessi reati economico-societari. E se in sede di esecuzione del contratto di affitto, ArcelorMittal abbia causato «l'eventuale depauperamento del ramo d'azienda». Non solo. La Procura di Milano, evocando «il pubblico interesse», entra nella causa civile intentata dai commissari contro l'atto di recesso del gruppo franco-indiano, a difesa «dei livelli occupazionali, alle necessità economiche produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale». Esattamente ciò che vanno affermando da giorni Conte e i sindacati.

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A palazzo Chigi e nella maggioranza monta l'irritazione contro ArcelorMittal. Durante l'incontro al Mise l'ad Lucia Morselli, secondo Patuanelli «ha giocato sporco». Questo perché, puntando l'indice sulla vera e grave inadempienza dell'esecutivo e della maggioranza, i vertici del gruppo hanno rispolverato la cancellazione dello scudo penale e la mancata messa in sicurezza dell'altoforno 2: «E' diventato un crimine lavorare nell'area a caldo», ha denunciato la Morselli. Ciò ha spinto Cgil, Cisl e Uil a chiedere al governo di ripristinare la tutela penale «per togliere alibi».
 



«In realtà», confida il ministro dello Sviluppo, «ArcelorMittal se ne vuole andare perché il suo piano industriale non regge: l'ha detto chiaramente Morselli quando ha parlato di 5 mila esuberi e di una produzione di 4 milioni di tonnellate l'anno». Da qui la convinzione di Conte e Patuanelli, ma anche dei ministri del Pd, che sia «sempre più fondato» il sospetto che gli indiani abbiano voluto prendere l'ex Ilva per «eliminare un importante concorrente, chiudendo l'acciaieria».

E proprio da qui riparte il governo. Ora, dopo che il gruppo franco-indiano ha annunciato il timing per lo spegnimento degli altiforni, scatta quella che il premier chiama «la mobilitazione» per impedire «l'assassinio dell'acciaieria». Che a giudizio di Conte vorrebbe dire la fine di qualsiasi prospettiva di rilancio e di salvaguardia dei livelli occupazionali, oltre alla «compromissione» del piano di risanamento ambientale.

A palazzo Chigi sono però convinti che la minaccia di Mittal possa essere sventata grazie al ricorso dei commissari che dovrebbe essere discusso «entro 13 giorni». Prima dell'avvio dello spegnimento degli altiforni. Dice il sottosegretario alla programmazione economica, il tarantino Mario Turco: «Il gruppo franco indiano è in confusione giuridica. Lo stop degli altiforni non può avvenire per decisione dell'affittuario degli impianti, è come se un locatario distruggesse la casa che ha preso in affitto. E' illegale. Anche per questo abbiamo mandato i commissari a valutare la situazione, ma gli è stato impedito di entrare. Ciò è gravissimo: il contratto prevede le ispezioni».

A sorpresa, Conte si ritrova con una maggioranza compatta. Si schierano con lui i dem Andrea Orlando e Francesco Boccia. Scende in campo perfino Matteo Renzi. Dice il vicesegretario del Pd: «ArcelorMittal non vuole semplicemente lasciare Taranto, sta operando per chiudere l'acciaieria definitivamente». E Orlando sollecita un intervento per rifornire l'ex Ilva di materie prime «senza aspettare l'esito processuale». La ragione: «Rischieremmo di arrivare troppo tardi. Se i commissari al loro rientro non trovassero il minerale per tenere accesi gli altiforni, ci vorrebbe almeno un mese per far arrivare le navi con i rifornimenti». Nel frattempo l'ex Ilva sarebbe spenta.

LE SOLUZIONI POSSIBILI
Il governo non può permettersi la chiusura della maggiore acciaieria d'Europa (1,4% del Pil nazionale e 20 mila occupati, indotto incluso). Così pensa da giorni «a soluzioni alternative» dopo il ritorno degli stabilimenti nella gestione commissariale: un prestito ponte e poi una nuova cordata. Probabilmente guidata da Cassa depositi e prestiti. Oppure replicherà il modello Alitalia con il Mef in quota di minoranza (10-15%), Cdp e qualche partner industriale come Fincantieri o Leonardo.
 

Ultimo aggiornamento: 15:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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