M5S, rivolta anti Rousseau: in 30 pronti a lasciare. E Mattarella blinda Conte

Venerdì 4 Settembre 2020 di Marco Conti
M5S, rivolta anti Rousseau: in 30 pronti a lasciare. E Mattarella blinda Conte

La maggioranza pencola, perde pezzi, ma arriva il soccorso - silente, ma fondamentale - dell'opposizione che si assenta quel tanto che basta per non far precipitare la legislatura. E' accaduto ieri mattina nel voto finale alla Camera sul decreto Covid e potrebbe ripetersi oggi al Senato dove arriva il dl Semplificazioni. Finisce 219 a 126 per la maggioranza che sarebbe andata sotto se nei banchi ci fossero stati i deputati di opposizione.

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Quella di ieri è la migliore fotografia che spiega perché, malgrado le defezioni, le risse nel M5S e i vorticosi maldipancia nel Pd, si arriverà al 2023. Ed è questa, dopotutto, una delle certezze che contribuisce a far dormire Giuseppe Conte con una certa tranquillità. L'altra è il sostegno che l'attuale esecutivo riceve dal Quirinale. Non è un segreto che Sergio Mattarella consideri l'attuale maggioranza come l'ultimo punto di caduta di una legislatura che non può produrne altri. Si va avanti, quindi, ma con i due principali partiti della maggioranza in pieno travaglio interno e molto più deboli di quanto non sia l'inquilino di palazzo Chigi che infatti da settimane si tiene ben alla larga dalle diatribe tra e nei partiti che lo sostengono. La confusione che regna nel M5S sprizza ormai da tutti i pori.

L'EMENDAMENTO
Dopo la fronda dei cinquanta che alla Camera avrebbe voluto votare contro Conte e affossare con emendamento la proroga dei vertici dei Servizi di intelligence, ieri una trentina di eletti pentastellati ha fatto sapere che sono pronti alla scissione se con un nuovo blitz - l'ultimo quello sulle alleanze - verrà posto sulla piattaforma Rousseau il quesito su chi dovrà guidare il Movimento che, dopo le dimissioni di Luigi Di Maio, è affidato a Vito Crimi. Un direttorio o un nuovo e unico leader? La querelle non è nuova, spacca da settimane il Movimento dove però è ormai crescente l'insofferenza nei confronti di Casaleggio e della piattaforma.
 



A poche settimane dal referendum sul taglio dei parlamentari e dagli Stati Generali nel quale dovrebbe essere risolto il quesito sulla leadership singola o multipla, si inaspriscono i toni e coloro che puntano al direttorio cercano di sbarrare la strada ad un ritorno di Di Maio. Alzano i toni, minacciano esodi di massa nel gruppo misto, ma nessuno nega il proprio sostegno al governo, e quindi, alla legislatura.

La Casaleggio-associati che è proprietaria e gestisce la piattaforma si affretta a smentire ogni ipotesi di ricorso a breve alla piattaforma, ma gli animi restano comunque caldi e al Senato si riversano sul decreto semplificazioni che un gruppo di grillini si rifiuta di votare per colpa di un emendamento della Lega assunto al testo. Proteste, sospensione dei lavori dell'aula, riunione del gruppo pentastellato che in parte si scaglia contro il ministro per i Rapporti con il Parlamento D'Incà che alla fine, anche grazie all'aiuto del capogruppo Perilli, rimette in riga i senatori 5S giusto in tempo perchè si apra un nuovo fronte: quello sulla legge elettorale.

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Stavolta è Giuseppe Brescia, capogruppo grillino in commissione Affari costituzionali, a scatenare la polemica rilanciando il voto di preferenza. Incalzato in un dibattito su Sky da Riccardo Magi (+Europa), Brescia ha difeso la riforma costituzionale dicendo anche che «nella discussione sulla legge elettorale il Movimento chiederà di ritornare alle preferenze». Un cambio di passo che disorienta i dem i quali hanno preteso di arrivare al voto - almeno in Commissione - su un testo base prima di ufficializzare il Sì al taglio dei parlamentari. «È inutile discutere prima di temi come questo, quando dobbiamo ancora votare il testo base», spiega il Stefano Ceccanti (Pd) secondo il quale il pacchetto di riforme per rendere potabile il taglio è avviato ed «è importante il voto che martedì ci sarà al Senato sul voto ai diciottenni» anche per palazzo Madama.

Resta il fatto che il Pd - alle prese con elezioni regionali tutte in salita - si mostra freddo sul ritorno delle preferenze che di fatto rischia di riaprire l'intesa sulla legge elettorale che davano proprio per giustificare il Sì al referendum. «Il testo base è già carta straccia», incalza l'azzurra Maria Stella Gelmini. Anche il leghista Giancarlo Giorgetti esprime dubbi e «terrore» per la riforma costituzionale perché, dice, «dietro al referendum c'è la riforma proporzionale» «con i partito che fanno e disfano governi tradendo spesso il mandato».
 

Ultimo aggiornamento: 18:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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